di Giampaolo Galli, 1 dicembre, Inpiù
La nomina di Janet Yellen a segretario al Tesoro dell’amministrazione Biden è stata accolta molto positivamente, quasi con entusiasmo, da Wall Street. Questo dimostra che gli investitori hanno buon senso e che non c’è bisogno di “voodoo economics” per sostenere i valori azionari. Yellen ha definito se stessa un’economista mainstream, ossia sostanzialmente ortodossa, con un twist politico di orientamento liberal. Essere mainstream, nelle condizioni odierne, significa non credere a nessuna delle frottole raccontate da Trump in questi anni e mai contraddette dal suo Ministro dell’Economia, Steve Mnuchin, che pure, da ex-banchiere di Goldman Sachs, non poteva credere a nessuna di esse. In sostanza, al Tesoro americano tornerà la fiducia nella scienza economica e nella scienza in generale.
Finirà il negazionismo sul cambiamento climatico e sulla pandemia; finirà la frottola secondo cui il taglio delle tasse ai ricchi fa bene ai poveri; finirà la frottola secondo cui più deficit oggi significa meno debito/Pil domani; finirà la frottola secondo cui tassi di interesse bassi fanno sempre bene anche quando l’economia viaggia a pieno regime, come avveniva nel 2018 e nel 2019. La Fed tornerà ad essere una banca centrale indipendente, perché Yellen crede che così debba essere; cesseranno gli attacchi quotidiani alla Fed, a cui ci aveva abituato l’amministrazione Trump. Il twist liberal aiuterà Yellen a formulare politiche che possano davvero aiutare chi è rimasto indietro, cosa di cui la società americana ha grande bisogno.
Di tutto questo Wall Street non sembra avere paura, anzi ne sembra contenta. Ciò induce a dubitare della teoria secondo cui i valori azionari sono disconnessi dall’economia reale per via di una sorta di grande bolla generata dal trumpismo, fatta di negazionismo, tagli alle tasse sui più ricchi e indebite pressioni sulla Fed. Forse Wall Street non ha mai smesso di credere che la pandemia fosse un fenomeno temporaneo e che l’economia americana avrebbe rapidamente ripreso il ritmo di crescita che le era stato impresso dall’amministrazione Obama, sin dal 2010, subito dopo la fine della grande crisi finanziaria. E forse anche i grandi investitori capiscono che politiche che riequilibrino le sorti dei più deboli non fanno male all’economia e possono anzi essere salutari.