Una manovra per la sostenibilità del debito, Il Sole 24Ore, 11 settembre 2018, con Lorenzo Codogno

Finalmente, dopo mesi di dichiarazioni contrastanti e in qualche caso allarmanti, sembra che il governo si stia orientando a presentare una manovra rispettosa delle regole europee. Le dichiarazioni in questo senso dei leader di maggioranza hanno già avuto l’effetto di calmierare un po’ lo spread fra i Btp e i titoli di tutti gli altri paesi dell’Eurozona. Ma cosa rischia l’Italia nel caso in cui si scelga un obiettivo non coerente con la cornice fiscale europea? E quale può essere un numero ragionevole che metta l’Italia al riparo da questi rischi?

La risposta alla prima domanda non è scritta nella pietra, nel senso che le regole non precisano tutte le possibili eventualità e i tempi per l’apertura di eventuali procedure formali. Nel caso dell’Italia oggi si ha un doppio problema. Innanzitutto, secondo la Commissione, l’Italia non sarebbe in regola già sui dati del 2018, e ciò perché secondo le proiezioni di Bruxelles, la correzione strutturale ―cioè al netto dell’effetto ciclico e delle misure una tantum― non sarebbe in linea con lo 0,3% che il governo precedente aveva promesso, ma sembra essere vicina allo zero.

Poiché sono ancora soltanto previsioni, in passato è prevalsa la prassi di aspettare i dati a consuntivo nella primavera dell’anno seguente prima di aprire una procedura formale per deficit eccessivo, ma se il rischio di deviazione verrà percepito come considerevole, è possibile, anche se improbabile, che questa decisione venga anticipata all’autunno.

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Il secondo e più importante problema riguarda gli obiettivi per il 2019 e per gli anni seguenti. Se non saranno in linea con il quadro europeo, la Commissione potrebbe esprimere un parere negativo sulla Legge di Bilancio, nel qual caso il governo sarebbe tenuto a modificarne gli obiettivi. Qualora ciò non avvenisse, anche in questo caso la Commissione potrebbe, già a fine anno, avviare l’iter per aprire una procedura per deficit eccessivo.

Ma qual è il numero limite, oltre il quale il conflitto con Bruxelles diventerebbe inevitabile?  La risposta è che, dando un’interpretazione molto elastica alle regole, l’Italia dovrebbe migliorare il deficit strutturale almeno di uno 0,1% del Pil, il che implicherebbe un deficit nominale attorno a 1,6%-1,7%. Va sottolineato che questo è davvero il minimo assoluto e che richiederebbe una interpretazione molto lasca delle regole, dal momento che la correzione piena dovuta sarebbe mezzo punto percentuale in più.

Ciò comporta una manovra correttiva di circa 0,8 punti percentuali, prima ancora di introdurre qualunque nuova misura di politica economica. Forse uno o due decimi di ulteriore flessibilità possono esser guadagnati con la variazione degli investimenti pubblici cofinanziati dall’UE, ma si rimarrebbe sicuramente sotto il 2%.

Dal punto di vista economico, il problema va ben oltre la questione di qualche decimale di punto.   Il costo medio di finanziamento del debito ancora beneficia delle emissioni di titoli di Stato a rendimenti molto bassi degli ultimi anni. Tra qualche tempo il costo di finanziamento del debito tornerà inevitabilmente su livelli storicamente normali. Se nel contempo la crescita dovesse assestarsi sulle attuali stime del potenziale dell’economia, o addirittura se l’Italia dovesse entrare in recessione, allora il rapporto debito/Pil si innalzerebbe come un’ondata di tsunami.

È sbagliato quindi guardare all’attuale stabilizzazione o marginale riduzione nel rapporto debito/Pil. E’ un effetto ottico. Più che la stabilizzazione attuale importa la sostenibilità di medio-lungo periodo. Questo è il senso delle regole che l’Europa e, non dimentichiamolo, anche la Costituzione italiana chiedono di rispettare

Fare una Legge di Bilancio che, come alcuni auspicano, si limiti a ridurre solo marginalmente il rapporto debito/Pil nel 2019 – un anno ancora buono sia per la crescita sia per i bassi tassi d’interesse – sarebbe come fare un ponte destinato a reggere solo in condizioni di traffico ottimali. Il bilancio pubblico, come un ponte, deve garantire la sicurezza in qualunque condizione.

Del resto, anche a chi sostiene che l’Italia ha un problema di domanda e che pertanto la politica fiscale dev’essere accomodante e non restrittiva, si può rispondere che l’aumento di un punto percentuale nei tassi su tutta la curva dei rendimenti da aprile ad oggi ha più che controbilanciato gli spazi di flessibilità che il governo andava cercando. Meglio dunque una politica di bilancio che consenta il ritorno degli spread su livelli fisiologici. Uno scontro con l’Europa sarebbe invece drammaticamente controproducente per gli effetti che avrebbe sulla percezione degli investitori e quindi sullo spread.

Nonostante le dichiarazioni rassicuranti degli ultimi giorni e in numeri che circolano, l’esito dell’attuale discussione non è ancora del tutto scontato.       @lorenzocodogno  @GiampaoloGalli   Il Sole24Ore, 11-09-2018

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