“Sulla class action troppa fretta, il testo cambi al Senato” intervista a Giampaolo Galli su Il Sole 24 Ore – 05/06/2015

In una votazione plebiscitaria, come quella di mercoledì sera sulla riforma della class action, pochi deputati hanno preso le distanze, astenendosi dal voto. Uno di questi è Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria e parlamentare del Pd.

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“Caro Fassina, il governo sa fare bene i conti – Contenere il disavanzo per ridurre il rapporto debito-Pil” Giampaolo Galli su Europa 15/04/2014

E’ difficile accusare il governo di eccesso di austerità nel momento in cui, con il Def, si impegna a realizzare un radicale programma di riforme per la crescita, rinvia il pareggio di bilancio strutturale e chiede al Parlamento di deliberare una deroga al sentiero di rientro già concordato con l’Unione Europea.

Malgrado la prudenza del governo sul fronte del risanamento e la evidente attenzione al tema della crescita, i critici del’austerity si fanno sentire più agguerriti che mai. L’argomento è che la disciplina di bilancio avrebbe l’effetto non solo di peggiorare l’andamento del ciclo economico, ma addirittura di aggravare anziché alleviare il problema del debito. Questa tesi viene ripetuta come un mantra ad ogni occasione utile e naturalmente ha molto ascolto in Italia come in tutti i Paesi che sono stati duramente colpiti dalla crisi in questi anni. I politici che si dannano per conciliare al meglio crescita e risanamento non solo rischiano di perdere il consenso dell’elettorato, che ovviamente sarebbe ben più contento di avere pranzi gratis, ma addirittura fanno la figura dei babbei. Non avrebbero infatti capito che si può fare il miracolo di moltiplicare i pani e i pesci, ossia abbandonare l’odiata austerity e ottenere così non solo più Pil e più voti, ma addirittura un risanamento finanziario più efficace. E viceversa: come ha detto, ad esempio, con la consueta efficacia, Stefano Fassina “con questo Def il risultato sarà meno Pil, meno occupazione e più debito pubblico”. Viene da chiedersi come mai tanti politici in tanti paesi diversi perseguano politiche tanto autolesioniste. La questione non riguarda solo il governo Renzi o altri governi di paesi dell’eurozona, presentati come scioccamente proni ai voleri della Germania. Riguarda anche i paesi nordici non membri dell’euro, gli Stati Uniti, dove Paul Krugman arriva addirittura ad accusare Obama di fare una politica di austerità dettata – chissà con quali fini – dalle lobby finanziarie, e soprattutto il Regno Unito. L’assalto all’austerità, vera o presunta, unisce in un unico coro stonato ed assordante tutte le opposizioni di destra e di sinistra, senza alcuna sostanziale differenza di toni e di profondità analitica. Assieme alla questione dell’euro, è diventato uno dei temi chiave della campagna elettorale europea: da un lato i partiti che hanno responsabilità di governo i quali, pur con accenti diversi, non possono non preoccuparsi del bilancio e, dall’altro, tutta l’allegra compagnia degli oppositori. Il fatto è che la teoria dell’espansione risanatrice non regge. Un aumento (permanente) del disavanzo di bilancio provoca, prima o poi, un aumento e non una riduzione del rapporto debito-Pil. Immaginiamo, ad esempio, che il governo decida di aumentare il deficit di 20 miliardi, attraverso misure permanenti e non una tantum, e supponiamo che questa politica determini, attraverso un moltiplicatore da sogno (keynesiano), un aumento di ben 40 miliardi del Pil. Se il Pil e il debito iniziali del Paese sono entrambi pari a 2.000 miliardi, il rapporto debito su Pil scende da 100% a 99% (ossia 2020 diviso 2040). Tutto bene dunque. Ma cosa succede l’anno dopo? Il Pil rimane a +40 e il deficit rimane a +20. Il problema è che il deficit crea nuovo debito. Il debito dunque dopo due anni non è più a 2020, ma a 2040 (più gli interessi). E dopo tre anni è a 2060 e così via. Il che significa che il rapporto debito Pil, dopo una iniziale flessione, ricomincia a salire. Non solo: l’aumento é senza limiti a meno che il governo non corra ai ripari e predisponga un piano di rientro, con gli interessi naturalmente. Rispetto a questo esempio numerico si possono introdurre decine di varianti, relative in particolare agli effetti dinamici e alle relazioni fra Pil effettivo e potenziale, ma il risultato di fondo non cambia: un maggior deficit, prima o poi,  aumenta il debito e costringe a fare manovre di rientro. Questa conclusione è dunque molto robusta, anche se in astratto non è impossibile costruire modelli teorici in cui essa viene invalidata: tali modelli possono essere interessanti per chi è alla ricerca di effetti speciali, ma sono sostanzialmente privi di riscontri empirici.

Alla luce della gravità della crisi economica, è dunque perfettamente lecito discutere sull’intensità e rapidità del risanamento, ma non lo è affermare che il risanamento venga da sé, come conseguenza naturale di politiche anticicliche. I politici che si fanno carico del risanamento sanno bene cosa stanno facendo e perché. Non sono né babbei né asserviti a oscuri disegni della finanza o di potenze straniere. Semplicemente, laicamente sanno far di conto. E, nel caso dell’Italia, è facilissimo fare il conto che ha fatto Padoan: un graduale contenimento del disavanzo in direzione del pareggio è la condizione minima perché, in presenza di efficaci riforme per la crescita, nei prossimi anni si cominci a vedere una sia pur lieve riduzione del rapporto fra debito e Pil.

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“La svolta buona?” – Forum con Nicola Rossi, Tiziano Treu e Giampaolo Galli – Europa 13/03/2014

Le scelte di Renzi. E’ davvero il piano shock che farà ripartire l’Italia e che imprese e cittadini attendevano? Le coperture ci sono? Europa lo ha chiesto a tre economisti di area: Nicola Rossi, Tiziano Treu, Giampaolo Galli.

«Il 2,6 è il margine massimo per evitare di rientrare nella procedura di deficit eccessivo. L’obiettivo di medio termine è l’elemento aggiuntivo che ha un aspetto quantitativo ma anche qualitativo, deve essere comprovata la capacità e la volontà del paese di perseguire aggiustamenti strutturali e permanenti laddove, come per l’Italia, ci sia un richiamo per squilibri eccessivi che hanno a che fare con scarsa crescita e debito eccessivo, cose vecchie che debbono essere ancora risolte». Sta nelle pacate ma precise parole di Pier Carlo Padoan la sostanza dello sforzo e dei tempi scelti da questo consiglio dei ministri per varare alcune misure e annunciarne altre. Le misure fiscali sono posticipate a maggio e il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione dovrà sottostare al percorso di un disegno di legge. Sulla semplificazione del mercato del lavoro, invece, si procederà per decretazione d’urgenza. E poi c’è l’aumento dal 20 al 26 per cento delle tasse sulle rendite finanziarie. Per disegno di legge o per decreto? Al momento non si sa.

Europa ha raccolto i pareri a caldo di tre economisti di area, anche se molto diversi tra loro, per provenienza e per convinzioni.

«Sorprendente», per Nicola Rossi, ex consigliere economico del governo D’Alema, che «in Italia in tema di tasse si facciano ancora annunci. Veniamo da venti anni di annunci di tagli di tasse e credo francamente incredibile che, in assenza di provvedimenti immediati, si continui ancora a promettere soldi in busta paga». «Mi sarei atteso – prosegue Rossi – che un governo che vuole innovare interrompesse questa stagione di annunci». Per l’economista c’è poi un secondo elemento «preoccupante» e che riguarda la mancanza di certezze immediate sulle coperture con il rischio che siano di carattere una tantum: «Se ci saranno norme di legge per tagli di spesa futuri finanziate con provvedimenti anche solo in parte una tantum sarà minata la credibilità dell’intero provvedimento».

«Renzi ha detto una serie di cose molto importanti» è il commento a caldo di l’ex ministroTiziano Treu, autore di importanti riforme del lavoro negli anni novanta e di ulteriori proposte successive. «Innanzitutto, il consistente taglio dell’Irpef per i redditi bassi, anche se ci sarà da aspettare fino a maggio, e un pezzetto dell’Irap coperto dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie, una misura di cui parliamo da tanto tempo». Rilevante, secondo Treu, è poi il taglio sui costi dell’energia e la riduzione dei costi dell’Inail, già decisa dal governo Letta, che ora diventa operativa. «Un alleggerimento sulle imprese c’è – sottolinea l’ex ministro – insieme ad un altro grosso segnale che va nella stessa direzione, e cioè il decreto che liberalizza l’adozione del contratto a termine, purché resti nel tetto prefissato. Anche di questo si parlava da tempo, bene che venga fatto». Bene anche il decreto sull’apprendistato, bene le altre deleghe e la Garanzia Giovani, anch’essa un’attuazione di una decisione di Letta. Quanto alle altre misure annunciate da Renzi, Treu ritiene una importante accelerazione la promessa di pagare tutti i debili della pubblica amministrazione entro luglio, come positivo è il piano riguardante le scuole. «Insomma, nell’insieme la spinta c’è – è il giudizio finale dell’ex ministro – e le coperture mi sembrano strutturali, le studieremo poi nei dettagli, ma conoscendo Padoan ritengo che non avrebbe permesso che venissero dette delle cifre se così non fosse. Certo, bisogna che tutto ciò che è stato annunciato e deciso accada davvero».

Per Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria e oggi membro Pd della commissione Bilancio della camera, quello illustrato da Renzi «è un quadro complessivo di grande determinazione a cambiare. A cominciare ad esempio dai contratti a tempo determinato per 36 mesi senza causale entro un tetto del 20%». «Ecco – spiega Galli – si tratta di un grande cambiamento che elimina un onere burocratico sul lavoro e si traduce in una semplificazione per chi vuole assumere. La causale, infatti, non solo è inutile ma espone le imprese a rischi legali rendendole di fatto meno propense ad assumere». C’è poi un secondo aspetto, tra gli altri, che colpisce favorevolmente Galli ed è quello che riguarda la decisione di finanziare la riduzione del 10% dell’Irap con l’aumento dal 20 al 26% della tassazione delle rendite finanziare: «È una scelta non facile e concreta che va nella direzione di favorire la competitività delle aziende. Soprattutto se si considera che fa parte di un dibattito pubblico che finora tuttavia nessuno, al di là degli annunci, era mai riuscito ad attuare». Galli coglie poi nell’illustrazione delle misure da parte di Renzi la volontà di ridurre l’imposizione di 1000 euro anche per quei redditi che si trovano al di sotto della no-tax area, ovvero coloro che guadagnano 8mila euro lordi l’anno. «Credo – conclude – che questo sia possibile riducendo e, di fatto, azzerando i contributi previdenziali a carico dei lavoratori».

@raffacascioli
@mcolimberti

Dalla rassegna di oggi La svolta buona?

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