Non stupisce che una parte rilevante dello schieramento politico, a destra e nel M5S, sia esplicitamente anti europeo o anti euro. La novità di questa campagna elettorale è che, almeno sino ad oggi, ha sostanzialmente sposato la retorica euroscettica anche una parte del Partito democratico, che pure ha una solida tradizione europeista e tuttora racconta se stesso come il baluardo dell’Europa in Italia in opposizione ai populismi nazionalisti della destra e del M5S.
A nessuno sfugge che in campagna elettorale i toni si scaldano e spariscono le tonalità di grigio.
Ma un conto è criticare quelli che si ritengono errori o ritardi delle politiche europee, tutt’altro è descrivere l’Europa come una sorta di diavolo che sarebbe all’origine di tutti i nostri mali. Alla manifestazione di apertura della campagna elettorale al teatro Eliseo a Roma indetta dalla cosiddetta Area democratica, come in tanti talk show, si sono sentiti esponenti di rilievo del Pd lamentare i mali di «questa Europa»: un’Europa matrigna, un’Europa dei banchieri e dell’austerity, un’Europa che manda la Troika e in Grecia fa un massacro, un’Europa che non si preoccupa del futuro dei giovani.
Chi ascolta questi ragionamenti si fa l’idea che i mali, veri o presunti, dell’Italia dipendano quasi per intero dall’Europa: l’alta disoccupazione, il presunto smantellamento del welfare con relativo attacco ai diritti, la cui dimostrazione più plateale sarebbe, secondo alcuni, il decreto Poletti sui contratti a termine! In conclusione di quest’analisi, ai nostri tocca dire che continuiamo a volere l’Europa e magari anche più Europa, ma che vogliamo un’Europa diversa. Difficile da dire e ancor più difficile da credere! Perché mai un elettore dovrebbe comprare questa storia? Se noi descriviamo l’Europa dell’austerity come il diavolo, l’unica conclusione coerente è quella degli antieuropeisti o addirittura degli anti euro. Peraltro, non è credibile che la stessa classe dirigente che ha contribuito negli ultimi vent’anni a costruire “questa” Europa, abbia ora un improvviso sobbalzo di coscienza e la cambi da cima a fondo.
Comprensibili dunque le semplificazioni verbali della campagna elettorale, ma qui noi stiamo perdendo noi stessi e stiamo facendo un grande regalo ai nostri avversari euroscettici, ai quali forniamo le armi di cui si nutre la loro propaganda.
Ho più volte argomentato che l’uscita dall’euro sarebbe un disastro. Ma sarei forse anch’io a favore dell’uscita dell’euro se credessi che siano veri i mali che alcuni nostri colleghi attribuiscono all’Europa. Se davvero l’austerità fosse quella politica cieca e insensata che viene descritta, se davvero essa facesse un danno non solo al Pil e all’occupazione, ma addirittura ai conti pubblici, allora saremmo davvero masochisti a stare dentro questa Europa.
Qui non si tratterebbe di battere i pugni sul tavolo per convincere qualcuno a fare cose che non vuole. Si tratterebbe di fare le cose giuste per i nostri cittadini. Peraltro, se l’Europa fosse tanto potente da imporci una politica così insensata, allora non ci sarebbe altra conclusione da trarre se non che siamo stati colonizzati, per di più da un gruppo di squilibrati che comanda in Europa. E se questo fosse vero, l’unica cosa di cui dovremmo preoccuparci sarebbe di riconquistare la nostra indipendenza: altro che più Europa!
Il punto è che se vogliamo tornare a difendere l’Europa dobbiamo ricominciare a dire parole di verità su noi stessi che sono scomode, ma necessarie. Dobbiamo ricominciare a dire che i problemi dell’Italia sono ”fatti in casa”, che Italia e Germania erano i due malati d’Europa fino ai primi anni duemila, che la Germania, sotto la guida di un governo socialdemocratico, ha reagito, ha fatto le riforme, è uscita dalla crisi con le proprie forze, ha ritrovato la competitività nei mercati globali, ha debellato la disoccupazione.
Dobbiamo ricominciare a dirci che quella cultura della stabilità che Carlo Azeglio Ciampi si era impegnato a perseguire entrando nell’Unione monetaria rimane la via maestra per un paese che ha un debito pubblico come il nostro; che dunque i conti li teniamo a posto non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché è interesse nostro e dei nostri figli; che la crescita non la si fa con il debito; che sotto il profilo finanziario l’Europa ci protegge, perché dovrebbe essere a tutti evidente che se non ci fosse lo scudo dell’Europa e dell’euro avremmo già dovuto accettare, e da gran tempo, dosi ben più massicce di rigore.
Dobbiamo riconoscere che è un ossimoro e un’offesa alla decenza denunciare la troppa austerità in un paese che nei decenni ha accumulato un debito come il nostro. E che oggi, se non di austerità, almeno di un bel po’ di sobrietà abbiamo certamente bisogno. Sobrietà nei conti delle amministrazioni pubbliche e anche sobrietà nelle parole che usiamo. Quella sobrietà che da sempre è un tratto distintivo del Partito democratico e non può andare perduta solo perché nei talk show è più facile cavarsela buttando la palla fuori dal campo.
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