Forse dobbiamo accontentarci che la Lega abbia accettato, almeno per ora, di rinunciare al progetto originale di una flat da 50 miliardi, una follia dal punto di vista finanziario e anche dell’equità sociale, e abbia ripiegato su una mini flat tax per partite Iva e lavoratori autonomi che non dovrebbe costare più di 2 miliardi allo Stato. Eppure ci sono tante cose che non vanno nel nuovo sistema che – ricordiamolo – introduce regimi di grande favore per due categorie di contribuenti: chi ha vendite sotto i 65.000 euro e chi sta fra 65.000 e 100.000 euro. Il primo problema, ovvio, riguarda l’effetto “scalino” che si verrà a determinare in corrispondenza delle due soglie di euro 65.000 e 100.000. Evidente l’incentivo a occultare fatturato per stare al di sotto di una soglia; evidente anche la disparità di trattamento fra chi sta poco sotto o poco sopra una delle due soglie.
Il secondo problema è che queste misure favoriscono l’utilizzo delle false partite Iva, in luogo dei contratti di lavoro dipendente. È giusto mettere a disposizione di imprese e lavoratori diverse forme contrattuali, comprese quelle più flessibili. Ma in linea di principio la flessibilità dovrebbe avere una maggiorazione di costo per l’impresa che la utilizza. Quindi semmai andrebbero ridotti i costi dei contratti di lavoro dipendente e a tempo indeterminato, come è stato fatto negli ultimi anni.
Il terzo problema è che questa misura guarda solo alle microimprese; per tutte le altre imprese, piccole, medie e grandi, ci sono quasi solo svantaggi – abolizione di superammortamento e Ace, non compensati dalla mini Ires, e ridimensionamento di iperammortamento e credito d’imposta per la ricerca. Insomma, per il nostro governo piccolo è ancora bello, una teoria che pensavamo superata da trent’anni, ma che ha ancora un grande punto di forza: piace ai politici perché è quella che porta il maggior numero di voti.