E’ più che comprensibile che in Italia non siano piaciuti i recenti interventi di Wolfgang Schäuble, l’ex ministro delle finanze tedesco, ora presidente del Bundestag. Schäuble non è un personaggio che susciti simpatia e, a ragione o a torto, a lui viene imputato quello che è generalmente considerato un eccesso di austerità in Europa dopo la grande crisi del 2009. Si è detto che non è più l’ora delle prediche tedesche, che è venuto il tempo della crescita e non dell’austerità, che Schäuble se la prende con Mario Draghi forse perché è proprio Draghi l’uomo che potrebbe condurre l’Europa verso una maggiore condivisone dei rischi.
L’intervento che più ha dato fastidio, e a ragione, è quello in cui Schäuble ha detto, senza troppi giri di parole, che se l’Italia non sistema i suoi conti occorre non solo ripristinare le vecchie regole di bilancio, ma addirittura cambiare i Trattati per creare un autorità europea capace di obbligare gli Stati Membri ad ottemperarvi. Proposte di questo tipo sono da respingere con forza perché non potrebbero che scatenare reazioni antieuropee e antitedesche con effetti devastanti sul futuro dell’Italia e dell’Europa.
Sarebbe però un errore sottovalutare il monito di Schäuble. La preoccupazione che egli esprime è largamente condivisa dall’opinione pubblica tedesca e di molti altri paesi e a poco serve citare quei pochi intellettuali che la pensano diversamente. Nella pandemia si è realizzato un grande moto di solidarietà fra popoli europei. Il piano NextGeneration EU è stato concepito per aiutare i paesi finanziariamente più fragili – Italia in primis – e quelli più poveri-i paesi dell’Est. L’Italia è il paese che, fra sussidi e prestiti, ne farà un utilizzo più intenso. La speranza è che questi fondi servano all’Italia a ritrovare la via della crescita e a ridurre così il peso del debito pubblico.
La solidarietà europea nonché i massici acquisti di titoli pubblici da parte della BCE non potranno continuare a manifestarsi in modo tanto intenso molto oltre la fine della pandemia. E sarebbe errore pensare che le regole di bilancio europee, che pure richiedono una robusta messa a punto, possano diventare meno stringenti. Il punto di fondo è che tutti gli altri paesi, compresi quelli del Mediterraneo, hanno paura di condividere rischi con un paese come l’Italia che ha il debito al 160 per cento del Pil, che ha dimostrato di non essere capace di ridurlo, e che, almeno sino ad ora, non è stato capace di fare le riforme che sono necessarie per conseguire un tasso di crescita almeno analogo a quello medio dell’Eurozona. In più l’Italia è il paese che più di tutti e per più tempo ha manifestato nel corso del tempo una forte ostilità nei confronti del progetto europeo: ciò è accaduto con i governi di centro-destra nel primo decennio del secolo e si è ripetuto con il governo giallo-verde del 2018-2019.
Al di là della pandemia, nessun politico tedesco potrà presentare un progetto che comporti una maggiore condivisione dei rischi con l’Italia. E’ indubbiamente vero che l’Unione Monetaria è zoppa, come diceva Ciampi, perché manca la gamba dell’Unione di bilancio, ossia dell’unione politica. Ma è illusorio pensare che questa gamba possa essere costruita nelle condizioni attuali.
Alle prediche tedesche in Italia si contrappone la proposta che il debito comune contratto con il NextGeneration EU diventi permanente. Ma solo in circoli molto ristretti si discute del fatto che questo passaggio richiederebbe una cambiamento importante dei trattati per costruire una tassazione europea, una devoluzione di poteri alla EU e soprattutto un’unione politica molto più forte. E’ molto improbabile che questi passaggi possono essere condivisi dall’opinione pubblica europea; probabilmente non passerebbero neanche il vaglio dello stesso parlamento Italiano.
Questo è il punto decisivo. Per avere un bilancio comune degno di questo nome occorre devolvere poteri all’Unione, come avviene negli Stati Uniti e nelle altre federazioni di stati. L’Unione deve essere in grado di utilizzare i proventi del debito federale, il che significa che deve avere il potere di decidere come spendere senza bisogno del consenso dei membri della federazione, e, soprattutto, deve aver il potere di tassare in modo da poter garantire in proprio il merito di credito della federazione. Oggi, con tutta evidenza, non è così. L’Unione si indebita a tassi molto bassi perché i mercati hanno fiducia negli stati membri finanziariamente più solidi. Non stupisce dunque che questa situazione non piaccia ai contribuenti di quegli stati.
A queste considerazioni, si aggiunge la preoccupazione che l’alto debito dell’Italia renda difficile alla Bce di attuare politiche in grado di contrastare un aumento dell’inflazione che alcuni vedono come imminente. Credo che sia una preoccupazione eccessiva oggi, ma potrebbe non esserlo fra un anno.