Non ho obiezioni all’idea di fissare un minimo per legge. Ho però fortissime obiezioni alla proposta di legge che è stata presentata dalle opposizioni, perché è lesiva della libertà di associazione e probabilmente inapplicabile. Il salario minimo non è sovietico, ma la proposta delle opposizioni ha un sapore fra il bolscevico e il corporativo (nel senso della Camera dei Fasci e delle Corporazioni).
Il problema è l’estensione erga omnes, ossia nei confronti di tutte le aziende e tutti i lavoratori di un determinato settore, dei contratti nazionali firmati delle “associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Il settore cui ci si riferisce è quello in cui “il datore di lavoro opera e svolge effettivamente la sua attività”.
Dunque per cominciare ci deve essere un ufficio centrale che stabilisce che una data azienda appartiene a un determinato settore, perché lì svolge effettivamente la sua attività Non è chiaro cosa sia un settore (i 3mila settori dei codici Ateco a 6 cifre?) e soprattutto non è chiaro come si faccia stabilire il confine fra Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confimprese, Confapi, Cna ecc. oppure quanto sono rappresentativi sindacati come UGL, Cisal, Cobas, Cub, Orsa ecc.? Ammesso e non concesso che si trovi un modo per stabilire i confini e la rappresentatività, migliaia di imprese dovrebbero cambiare contratto, il che in qualche caso può essere vantaggioso per l’impresa – nel qual caso sarebbe inaccettabile per lavoratori – in altri può essere vantaggioso per i lavoratori – e allora sarebbe inaccettabile per l’impresa. Il punto chiave è che una volta che un’impresa è inquadrata, il datore di lavoro e i lavoratori non hanno altra scelta se non quella di applicare il contratto che è stato loro assegnato. E che succede se un’azienda vuole fare un altro contratto, come quello ad esempio che di Stellantis che è stato rinnovato solo pochi mesi fa? Che succede se i lavoratori di un’azienda non sono soddisfatti del contratto di categoria in cui sono inquadrati e vogliono farsi una loro associazione sindacale o un Cobas? Come può una legge impedire ai lavoratori o anche alle aziende di costituire una propria associazione sindacale?
Si dirà che i casi di defezione da CGIL-CISL-UIL o da Confindustria, Confcommercio, Confartigianato ecc. sono rari. Ma questo è vero solo perché oggi non esiste un erga omnes per decreto e dunque queste associazioni hanno il problema, anzi l’assillo quotidiano, di garantirsi il consenso dei propri iscritti; altrimenti, perdono quote associative e sono colpiti nel vivo del loro portafoglio. Non così un domani perché con l’erga omnes per decreto le grandi organizzazioni potranno dormire sonni tranquilli. I loro dirigenti, liberati dall’assillo del consenso, avrebbero tutto l’interesse a ingraziarsi il governo di turno, in vista di qualche incarico. Ne soffrirebbe la libertà di espressione in tutto il paese.
E non è vero che la proposta si limita ad applicare l’erga omnes sindacale ai minimi. Fa ben altro in quanto il contratto si applicherebbe nella sua interezza a tutti i lavoratori del settore, quale che sia il loro inquadramento; l’estensione erga omnes riguarda infatti “il trattamento economico complessivo”, quello che soddisfa il requisito costituzionale di “retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro”. E che succede ai quadri? E ai dirigenti? Che succede ad associazioni come Federmanager? E, in ogni caso, chi stabilisce chi è un quadro e chi è un dirigente? Il che poi è lo stesso problema di stabilire chi è un operaio di prima o di seconda categoria o se un’impresa è industriale o artigiana. Oggi tutti questi aspetti sono definiti consensualmente dalle parti sociali. Invece, una volta approvato l’erga omnes, anche per questo occorrerebbe un ufficio centrale. Ecco perché il salario minimo non è sovietico, ma questa proposta è un po’ bolscevico-corporativa e comunque fa ben altro – e molto molto di più – che stabilire un salario minimo.
29/07/2023, #Inpiù, Giampaolo Galli