La sfida che abbiamo davanti è quella di ridurre le tasse senza rinunciare all’obiettivo di piegare la dinamica del debito pubblico.
Sia la pressione fiscale sia il rapporto debito su Pil devono scendere. E non esiste alcun automatismo in base al quale quel rapporto si riduce se si riducono le tasse. Questa era la teoria cosiddetta della curva di Laffer, che indusse l’amministrazione Reagan a tagliare le tasse all’inizio degli anni Ottanta. Il deficit e il debito Usa in rapporto al Pil, lungi dal ridursi come prevedeva la teoria, raggiunsero dei picchi insostenibili che obbligarono gli Stati Uniti a un radicale cambio di politiche negli anni successivi. Renzi è stato chiarissimo su questo punto. A Milano ha affermato con molta forza che l’Italia deve stare nei parametri di Maastricht perché il rapporto debito/Pil deve scendere nei prossimi anni. Separatamente, ha affermato che per rilanciare la crescita occorre ridurre la pressione fiscale. Naturalmente, la riduzione delle tasse produce effetti positivi, attraverso la crescita, sia sul numeratore sia sul denominatore del rapporto debito/Pil e di questi effetti si potrà tenere conto. Ma sappiamo già in partenza che gli effetti positivi non saranno sufficienti a cancellare l’effetto negativo sui conti derivante dal minor gettito fiscale. Di qui la necessità di lavorare sui tagli di spesa, sul contrasto all’evasione, su ulteriori misure, oltre alle molte già entrate in vigore, che possano favorire la crescita.
Compito di un leader politico non è quello di specificare i dettagli tecnici di una manovra finanziaria, ma di indicare le priorità, le grandi linee su cui si deve muovere la politica economica. E questo Renzi l’ha fatto con estrema chiarezza. Il punto è che la società esprime una miriade di esigenze che comportano aumenti di spesa. Praticamente ogni provvedimento legislativo comporta una pressione sulle casse dello Stato, al quale fanno argine, con grande fatica, la Ragioneria dello Stato e le Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Una gran parte delle richieste di maggior spesa sono motivate da esigenze reali e condivisibili. Pensiamo al tema degli strumenti, da noi assai carenti, per il contrasto alla povertà, al tema degli esodati o a quello dell’introduzione di nuovi farmaci e tecnologie nella sanità pubblica o alle esigenze legate allo sviluppo dell’agenda digitale o al rafforzamento della sicurezza, e così via elencando. L’indicazione forte che viene dal Presidente del Consiglio è che tendenzialmente e, salvo motivate eccezioni, questi problemi passano in secondo piano non perché non siano importanti, ma perché la precondizione per poter dare risposte positive alle numerose legittime esigenze che emergono continuamente dalla società è quella di produrre crescita economica e per fare questo occorre ridurre le tasse.
Si obietta che i tagli alla spesa sono recessivi e che quindi la riduzione delle tasse, se proprio la si vuol fare, dovrebbe essere fatta interamente in disavanzo, senza preoccuparsi dei vincoli europei. Per un paese che ha il debito pubblico oltre il 130% del Pil e che poco tempo fa, nel 2011, è stato oggetto di una massiccia fuga di capitali per mancanza di credibilità finanziaria, la strada del disavanzo oltre i vincoli europei va esclusa con assoluta determinazione; è una strada molto pericolosa perché mette nuovamente a rischio la fiducia che l’Italia si è faticosamente riconquistata in questi anni. Quanto ai tagli di spesa, è vero che in condizioni normali essi sono recessivi e tali da compensare gli effetti espansivi di riduzioni di tasse di uguale entità. Ma oggi non siamo in condizioni normali. La pressione fiscale è cresciuta di quasi cinque punti nell’ultimo decennio ed ha ormai raggiunto livelli indubbiamente elevati nel confronto internazionale ed europeo. Ormai da anni l’Italia sembra avvolta in una cappa di pessimismo che scoraggia la voglia di rischiare e di fare impresa. Un programma di riduzione della tasse coraggioso, ma ragionevole, ossia fattibile e dunque credibile, è probabilmente il tonico più efficace che si possa immaginare per rimettere in circolo le straordinarie energie imprenditoriali che l’Italia ha sempre avuto. E non c’è dubbio che, per il modo in cui è stata mal gestita in questi anni, la questione IMU/TASI costituisce un nervo scoperto del pessimismo generale. Per la maggior parte degli italiani, è la prova provata che le tasse aumentano anche quando se ne annuncia la riduzione. Con una buona dose di senno del poi, si può dire che alla lunga purtroppo gli errori si pagano.
Infine, nella PA, come in ogni organizzazione, gli sprechi si possono eliminare solo se a monte vi è un mandato politico forte degli azionisti/elettori volto a ridurre la spesa. E’ illusorio pensare di eliminare gli sprechi e migliorare l’efficienza della macchina pubblica se non si rende evidente agli elettori la contropartita in termini di minori tasse. E’ questa la scommessa su cui dovremo impegnarci nei prossimi mesi ed anni.
Giampaolo Galli, 29.07.2015
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