In origine, cioè durante tutta la passata legislatura e durante la campagna elettorale, il reddito di cittadinanza costava, secondo gli stessi proponenti, 16 miliardi, cui andava aggiunto un miliardo per Centri per l’Impiego. La platea e l’ammontare del beneficio erano sostanzialmente gli stessi che vengono propagandati adesso: 5 milioni di individui e 780 euro per un single. Nella prima versione della legge di bilancio, quella con il deficit al 2,4%, le risorse furono dimezzate e nella versione definitiva sono state ulteriormente ridotte a poco più di 6 miliardi. L’unico rilevante cambiamento che è intervenuto rispetto al disegno originario riguarda la differenziazione fra chi ha una casa di proprietà e chi vive in affitto, in assenza della quale l’INPS aveva calcolato un costo di ben 30 miliardi. Sono poi stati introdotti una serie di paletti il cui effetto dovrebbe essere quello di scoraggiare le frodi e dunque di ridurre un po’ la platea. Inoltre per il 2019, la misura inizia a maggio, quindi si perdono 4 mesi. Rimane il fatto che fra 16 miliardi e 6 miliardi c’è un abisso e che nel 2020, quando la misura sarà a regime, il fondo aumenterà a soli 7,5 miliardi.
Come è possibile che al diminuire delle risorse rimangano pressoché invariati il beneficio e la platea? È peraltro evidente con 7,5 miliardi si possono dare in media non più di 125 euro al mese a testa. E che, anche tenendo conto che i 780 euro promessi sarebbero solo un’integrazione per chi ha già altre fonti di reddito, è facile calcolare che le risorse sarebbero interamente esaurite se ci fossero anche solo 801 mila persone meritevoli dell’intero sussidio di 780 euro.
La risposta a questi interrogativi sta nell’articolo sulla disposizioni finanziarie, che prevede che quando le domande sono tali da far prevedere l’esaurimento delle risorse dell’anno, “con un decreto del Ministro dell’Economia,…, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione del beneficio”. In pratica, i primi che arrivano – si può fare domanda dal 6 marzo – prendono il sussidio pieno, diciamo 780 euro. Ma, man mano che arrivano nuove domande e si esauriscono le risorse, il sussidio viene ridotto a tutti, nuovi e vecchi beneficiari. Insomma si parte con 780 euro subito prima delle elezioni europee e poi, subito dopo, si scende a 400 o anche meno. Questa soluzione appare socialmente insostenibile, ma questo lo si scoprirà solo dopo le elezioni.
Per fare le cose in modo più sensato rispettando il vincolo finanziario, bisognava raccogliere prima tutte le domande, dando un tempo congruo alle persone, e poi fare la ripartizione in base alle risorse disponibili. Così fu fatto per il Rei in cui si lasciarono due mesi e mezzo di tempo fra l’approvazione definitiva della misura e l’avvio delle domande. Ma se si facesse così per il Reddito di Cittadinanza si andrebbe oltre le elezioni europee e non si potrebbe più dire che si mantiene fede all’impegno di dare 780 euro a 5 milioni di persone.