Puntualmente, come in ogni precedente crisi bancaria, sulla Banca Popolare di Bari è ripartita la demagogia: basta con i salvataggi dei banchieri, vanno salvati i risparmiatori, vanno puniti i vertici di Banca d’Italia che non hanno vigilato. E allora è utile ricordare che mai i banchieri, intesi come amministratori delle banche, sono stati salvati, perché in tutti i casi di crisi è intervenuto il commissariamento della banca; che, fino a prova contraria, i banchieri sono i proprietari della banca, ossia i soci/azionisti, al netto di eventuali casi di miselling; che tutti gli interventi fatti sino ad oggi, non sempre brillantissimi o tempestivi, hanno avuto la finalità di minimizzare le perdite per i risparmiatori nonché per i territori di insediamento della banca; che la Banca d’Italia non è certo infallibile, ma i suoi eventuali errori vanno dimostrati analiticamente. Il compito della vigilanza non può essere quello di impedire ogni possibile crisi, perché le banche sono imprese in concorrenza fra di loro e devono poter fallire. Solo in un sistema pubblico le imprese non falliscono mai, perché vengono salvate con le tasse dei cittadini.
E a chi in questi giorni parla nuovamente di colonizzazione del Sud, va ricordato che alla fine degli anni Ottanta, le banche del Sud, tutte pubbliche, erano tecnicamente fallite e sono state salvate, su input della Banca d’Italia di Ciampi, dalle grandi banche del Nord. E a chi vuole la grande banca pubblica d’investimento per il Sud ricordiamo che una volta esistevano banche pubbliche esclusivamente dedicate agli investimenti a medio e lungo termine nel Sud: furono un fallimento colossale. L’Isveimer, ad esempio, fu messo in liquidazione nel 1996 dall’azionista principale, il Banco di Napoli, a sua volta controllato dallo Stato, perché in un solo anno aveva accumulato perdite per 607 miliardi, mangiandosi quasi per intero il patrimonio. Negli ultimi anni, quasi tutti i politici locali e buona parte dei politici nazionali si sono schierati con la Popolare di Bari nel suo anacronistico tentativo di evitare l’obbligo di trasformazione in spa, che è la precondizione per poter raccogliere fondi per una eventuale ricapitalizzazione: costoro abbiano almeno il pudore di tacere.