“Sindrome 1933” è il titolo di uno straordinario libro di Siegmund Ginzberg. L’autore si guarda bene dal dire che c’è il nazismo alle porte, in Italia o altrove nel mondo. Eppure le analogie sono tante e inquietanti, a cominciare dal disprezzo, nel nome della “volontà del popolo che ha votato”, per la divisione dei poteri che è il pilastro delle democrazie liberali. E sono tante anche le analogie in economia. “Hitler prometteva qualcosa a tutti, fregandosene dell’ortodossia economica, dell’indebitamento e dei rapporti internazionali”. I rapporti internazionali erano particolarmente importanti dal momento che “la Germania era da anni una sorvegliata speciale nei mercati internazionali e nelle sedi di decisioni economiche. Era indebitata sino al collo. Nel 1931 il debito estero aveva superato il 100% del Pil”. “Nel 1929 Hugenberg e Hitler alleati avevano promosso un referendum contro il nuovo Piano Young [proposto dagli Usa] di dilazione nei pagamenti del debito tedesco (in base al principio che non andava più ripagato nulla)”. Per Ginzberg era un’iniziativa comparabile a quel che sarebbe oggi un referendum contro l’euro, anche perché le riparazioni di guerra erano da sempre l’argomento più efficace per dare la colpa di tutto a chi si ostinava a “punire” la Germania. “Esattamente come oggi si dà la colpa di tutto all’Europa e ai burocrati di Bruxelles”.
Dopo il fallimento dei “certificati fiscali” (i progenitori dei MiniBot, introdotti da Papen nel 1932), il banchiere Schacht diede a Hitler l’idea di finanziare la spesa pubblica con i Mefo, certificati di credito garantiti dalla Banca Centrale, che aggiravano il divieto contenuto nel Trattato di Versailles di monetizzare il deficit e, non essendo contabilizzati come deficit, nascondevano la finalità vera dello strumento che era il riarmo della Germania. Per un po’ funzionò, ma nel 1937 Schacht fu costretto a scrivere a Hitler, avvertendo che “l’illimitata crescita delle spese dello Stato vanifica ogni tentativo di impostare un bilancio ordinato e porta, nonostante l’enorme pressione esercitata sulla leva fiscale, le finanze statali sull’orlo del tracollo”. Si discute – conclude Ginzberg – su cosa abbia salvato il regime dal collasso finanziario. L’orientamento degli studi più recenti è che “furono obbligati a fare la guerra di rapina al resto d’Europa e all’Est, anche perché altrimenti sarebbero falliti”.