Potrà sembrare strano ma, stando a quanto ha dichiarato la Cgil in commissione Bilancio della camera per bocca del suo segretario confederale con delega alle politiche macroeconomiche Danilo Barbi, c’è chi ancora pensa che la ricetta utile per rilanciare l’economia italiana sia tassare di più per fare più spesa pubblica.
Questo approccio negli ultimi decenni ha fatto perdere molte elezioni alla sinistra in vari paesi europei ed è evidentemente antitetico a quello del governo Renzi, che ha presentato una legge di stabilità il cui titolo potrebbe essere “meno tasse, meno spesa, più crescita”. La proposta della Cgil ha una sua apparente plausibilità, ma le controindicazioni sono pesanti.
L’idea in sintesi è questa: ricavare dieci miliardi di euro con un’imposta patrimoniale aggiuntiva sulle famiglie italiane che dispongono di una ricchezza finanziaria netta superiore a 350 mila euro. Secondo i calcoli della Cgil i nuclei familiari con queste caratteristiche sono un milione e duecentomila, il 5% del totale. Queste famiglie dovrebbero dunque fronteggiare un esborso medio annuo aggiuntivo di 8.500 euro. Utilizzando queste risorse per investimenti nei settori dei beni sociali, ambientali e culturali si creerebbero ben 740 mila posti di lavoro.
Poniamo, anche se i dubbi in proposito sono consistenti, che una misura del genere sia tecnicamente praticabile: sarebbe politicamente giusto procedere in questa direzione? Si creerebbero posti di lavoro?
In Italia le imposte patrimoniali – immobiliari, finanziarie, successioni, registro ecc. – già gravano sui cittadini per quasi tre punti di Pil. Quel che ci serve è davvero aumentarle ancora? Non finiremmo per inventarci grandi progetti che, in un paese come il nostro, rischierebbero, ben che vada, di avere esiti dubbi e tempi di realizzazione incerti, lunghi e comunque incoerenti con l’urgenza di uscire dalla crisi?
Alla base della proposta della Cgil c’è una visione di politica economica poco realistica. Se in questo paese si introducesse una patrimoniale davvero capace di fruttare dieci miliardi, la priorità, indipendentemente dalla condizione economica dei soggetti passivi di tale tributo, sarebbe comunque destinare questi proventi ad abbassare altre imposte patrimoniali (come la Tasi, l’Imu sui beni strumentali, il bollo sul conto titoli); oppure a ridurre ulteriormente il costo del lavoro, dato che la tassazione sul lavoro resterà fra le più alte in Europa anche dopo che saranno entrate in vigore le misure previste in legge di stabilità.
Inoltre dal progetto della Cgil scaturirebbero spinte depressive sui consumi e soprattutto pericoli di fughe dai depositi bancari e dai titoli pubblici, che rappresentano la gran parte della ricchezza mobiliare degli italiani. Pur se volessimo trascurare questi rischi, che invece non sono affatto da trascurare, è evidente che l’economia e l’occupazione non si rilanciano con più tasse, ma con un prelievo fiscale inferiore, o almeno con un prelievo più equamente distribuito. Per questo anche i proventi addizionali della lotta all’evasione dovranno essere impiegati per ridurre la tassazione, non certo per accrescere la spesa.
Quel che in fondo la Cgil sostiene è che si possono trovare risorse per lo sviluppo senza dover passare attraverso la difficile operazione di riduzione delle spesa pubblica proposta dal governo. Ma è tanto suggestivo quanto sbagliato affermare che in Italia la spending review sia una sfida eludibile imboccando la scorciatoia chiamata “patrimoniale”. Il paese ha bisogno di verità e non di pericolose illusioni.
Giampaolo Galli
Dario Parrini
Leggi su EuropaQuotidiano.it