Quel pasticciaccio brutto dell’anatocismo. FIRSTonline, 22 febbraio 2016

Un emendamento alla legge di stabilità per 2014 chiedeva al Cicr (ebbene sì – il Cicr esiste ancora!) di adottare una disciplina in base alla quale “gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. La frase è incomprensibile, anche perché gli interessi o sono capitalizzati o non lo sono.    Nel tentativo di interpretare la volontà del legislatore, il 24 agosto scorso la Banca d’Italia ha messo in consultazione una proposta di delibera, che ad oggi risulta inattuata. Il punto chiave è che la norma richiede non solo di abolire l’anatocismo infrannuale, ma in generale di abolire il tasso composto, cosa che esiste solo nei paesi retti dalla sharia. Anche scontando la circostanza che molti parlamentari hanno sostenuto questa proposta pensando che essa si riferisse solo all’anatocismo, colpisce quanto poco la cultura economica sia riuscita a far breccia in Parlamento. Occorre quindi spiegare analiticamente che, ad esempio, questa norma rende molto difficile utilizzare alcune forme tecniche di credito quali l’affidamento in conto corrente che ha il grande vantaggio della flessibilità a favore del cliente. Con il tasso composto, se il cliente non ha la liquidità per pagare 10 euro alla fine del primo anno (su un prestito, poniamo, di 100 euro al tasso del 10%), egli avrà la facoltà di pagare alla fine del secondo anno l’interesse composto, ossia 21 euro. Con la nuova norma, la banca dovrebbe obbligarlo a pagare gli interessi il primo anno perché non può certo fare un nuovo prestito di 10 a tasso zero. La Banca d’Italia cerca di risolvere il problema (art. 4 della proposta) da un lato vietando, il che sembra del tutto condivisibile, la capitalizzazione infrannuale degli interessi e dall’altro mettendo in piedi un complicato meccanismo in cui a) “gli interessi sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale” e  diventano esigibili dopo sessanta giorni e b) decorso detto termine, “il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta; in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale” e quindi produttiva di interessi.

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Unione bancaria, battaglia italiana giusta ma difficile. FIRSTonline, 20 febbraio 2016

Come ha chiarito Renzi in Parlamento, nel negoziato in corso sull’unione bancaria, l’Italia chiede che si proceda alla costruzione di un fondo europeo per la garanzia dei depositi, ma si oppone a che venga messo in discussione, attraverso vincoli quantitativi o regole sull’assorbimento di capitale, il ruolo dei titoli sovrani nel portafoglio delle banche. Si tratta di una posizione che dobbiamo difendere con le unghie e con i denti dal momento che, senza il sostegno delle banche, potrebbero insorgere difficoltà notevoli nel collocamento dei titoli pubblici in diversi paesi. Ma è una posizione che si giustifica in una situazione di particolare fragilità sia di alcuni paesi sia dell’Eurozona nel suo insieme. A regime, in una unione bancaria effettiva è del tutto naturale che i titoli degli Stati più rischiosi assorbano più capitale degli altri: se ciò non avvenisse le autorità non proteggerebbero adeguatamente i risparmiatori. È evidente che, a parità di altre condizioni, una banca con titoli tedeschi in portafoglio è meno rischiosa di una banca con titoli greci. Le autorità preposte alla vigilanza non possono far finta che le due banche siano uguali, e se lo facessero senza avere alle spalle una solida protezione normativa potrebbero anche essere portate in giudizio dai risparmiatori danneggiati nel caso ad esempio di un eventuale nuova ristrutturazione del debito greco. Un po’ come se una circolare di una qualche autorità italiana avesse dato ai risparmiatori la (falsa) informazione che le obbligazioni bancarie subordinate erano prive di rischio: oggi ovviamente quell’autorità dovrebbe rendere conto di una informazione tanto ingannevole. Lo stesso succederebbe se le autorità di vigilanza europee decidessero di loro iniziativa di non tenere conto della diversa rischiosità per i risparmiatori di banche esposte a rischi sovrani diversi. Il punto è che in qualche misura la richiesta italiana sembra implicare che la vigilanza europea non chieda alle banche di coprire, con opportuni accantonamenti, i rischi che esse si assumono con i soldi dei risparmiatori.

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Cosa chiedere all’Europa (e cosa no) – FIRSTonline, 17 febbraio 2016

In Europa possiamo e dobbiamo chiedere molte cose, a cominciare da una più robusta attuazione del piano Juncker per gli investimenti e dal completamento dell’Unione Bancaria, comprensiva del Fondo di garanzia per i depositi. Ma dobbiamo guardarci dal chiedere cose che non possiamo ottenere e che ci metterebbero in rotta di collisione con la Germania. Non ha alcun senso pretendere che la Germania ci tolga le castagne dal fuoco comprimendo la propria competitività oppure aumentando il disavanzo pubblico, oltre ciò che è ritenuto giusto dall’elettorato di quel paese. È vero che la Germania ha un grande surplus nei conti con l’estero e che una buona parte di esso dipende dal commercio con gli altri paesi dell’Eurozona. Ma l’argomento secondo cui l’aggiustamento dovrebbe essere simmetrico, ossia ricadere in egual misura sui paesi in deficit e in surplus, è del tutto inaccettabile da parte della Germania ed è molto debole dal punto di vista teorico.

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La crescita resta bassa, Juncker svegliati: in Italia il dividendo delle riforme tarda e l’incertezza politica aumenta – FIRSTonline, 16 febbraio 2016

Per l’Italia si prospetta un 2016 con crescita positiva, ma assai lenta e comunque inferiore a quella di quasi tutti gli altri paesi dell’Eurozona. Ciò avviene dopo una lunga recessione, più profonda che negli altri paesi, e dopo almeno vent’anni di crescita anemica.

Questi dati inducono molti a chiedere politiche di bilancio più espansive, ma, come continua a ripetere il Ministro Padoan, l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo “che ha spazio fiscale zero”, ossia che non si può permettere ulteriori allentamenti della politica di bilancio. Maggiore sostegno politico meriterebbe invece la richiesta di rafforzare il piano Juncker affinché diventi un vero motore della crescita europea. Nel frattempo però non ci dobbiamo scoraggiare: il differenziale di crescita dell’Italia non può che essere affrontato rafforzando e accelerando il programma di riforme.

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