Il 27 gennaio si è svolto un incontro dal titolo Roma in Decrescita: quali investimenti per il futuro? organizzato dal Forum Economy Dem del Pd Roma con l’intervento di alcuni parlamentari e personalità del tessuto politico, industriale e tecnologico romano.
Capisco lo sforzo del ministro Calenda per definire una fase nuova che, come egli dice, faccia da ponte “fra la stagione importantissima di rottura del governo Renzi e quella di messa in sicurezza del paese”. Se non siamo in grado di proseguire e rilanciare l’azione riformatrice del governo Renzi non ci rimane che chiuderci in difesa e cercare di tutelare ciò che abbiamo. Con Renzi c’era l’ambizione di cambiare l’Italia e, sul piano economico, lanciare la sfida per diventare un paese altamente competitivo, capace di attrarre multinazionali così come di fare acquisizioni all’estero, a fronte delle acquisizioni estere in Italia.
Non tutte le scalate societarie sono buone ma non si possono impedire ex ante lasciando che lo Stato decida caso per caso: o si ha il 51% o si è scalabili – La sinistra auspica la concorrenza nel mercato dei beni come in quello dei capitali e del controllo societario e lascia alla destra più retrograda la difesa delle vecchie aziende spesso poco efficienti, controllate da poteri eterni e inamovibili.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Giampaolo Galli.
GIAMPAOLO GALLI, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. Il Governo ha presentato alle Camere la Relazione prevista dall’articolo 6 della legge 243 del 2012. Tale norma prevede che, qualora il Governo, al fine di fronteggiare eventi eccezionali, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dagli obiettivi programmatici di finanza pubblica, presenti alle Camere, per le conseguenti deliberazioni del Parlamento, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici stessi, nonché una specifica richiesta di autorizzazione, che indichi la misura e la durata dello scostamento e definisca un piano di rientro. La Relazione presentata fa specifico riferimento a operazioni relative alle partite finanziarie di cui al comma 6 dell’articolo 6 della legge appena citata, dato che, con l’intervento che il Governo intende fare, si prefigura un possibile reperimento per un importo massimo fino a 20 miliardi di euro, da reperire attraverso operazioni di emissioni di titoli del debito pubblico. I presupposti di tale intervento vengono ravvisati nella eventualità che gli esercizi di stress operati sulla base dell’attuale assetto della vigilanza prudenziale dell’Unione europea possano evidenziare, data la severità degli stress medesimi, una carenza di capitale in presenza di scenari avversi, carenza che – sottolinea sempre la Relazione del Governo – potrebbe risultare difficile da ripianare sia per le presenti condizioni dei mercati finanziari, che per la consistenza dei crediti deteriorati determinata dalla recente crisi economico-finanziaria. In considerazione della finalità precauzionale cui è indirizzato, si precisa che l’intervento non può essere al momento dettagliato nei tempi, nelle modalità e nei provvedimenti nei quali si articolerà, ma risulterà comunque finalizzato ad assicurare due obiettivi: un adeguato livello di liquidità del sistema bancario, anche mediante la concessione di garanzie dello Stato su alcune tipologie di passività delle banche, ed un rafforzamento patrimoniale delle banche medesime mediante operazioni di ricapitalizzazione, che prevedono la sottoscrizione di nuove azioni. Per il conseguimento di tali obiettivi, il Governo intende ricorrere a operazioni di emissione di titoli del debito pubblico fino a un importo complessivo massimo di 20 miliardi di euro per l’anno 2017. Ne risulterebbero conseguentemente modificati gli obiettivi programmatici per quello che riguarda il debito pubblico e il fabbisogno, ma non per quello che riguarda l’indebitamento netto rispetto alla risoluzione con cui abbiamo approvato la nota di aggiornamento al DEF del 2016. Quindi, noi dobbiamo approvare oggi una richiesta da parte del Governo di deviare, per quello che riguarda il debito pubblico, fino a un limite massimo di venti miliardi. Vorrei sottolineare alcuni punti: i problemi che dobbiamo affrontare riguardano alcuni casi di crisi bancarie. Il sostegno serve a prevenire l’infezione, il contagio, ma non ci sono i numeri, non ci sono le evidenze che ci dicano che c’è attualmente in atto un problema generalizzato di crisi del nostro sistema bancario, che, nel suo complesso, risulta essere solido, come è stato evidenziato anche dagli stress test della Banca centrale europea. Secondo punto: vorrei sottolineare la procedura corretta che è stata seguita, che è stata quella di chiedere prima un’autorizzazione ad emettere il debito in base alla legge del 2012 e poi, chiuse le operazioni di mercato, e vedremo come andranno, quale ne sarà l’esito, ci saranno dei provvedimenti, e quello sarà il momento nel quale discuteremo degli importanti dettagli su come intervenire. Forse è opportuno sottolineare che ci sono due tempi sia perché questo prevedono le procedure, le corrette procedure parlamentari, sia anche perché in questo momento è in corso un’operazione di mercato, e quindi dobbiamo evitare di generare delle turbative rispetto a quelle operazioni che sono in corso. Credo che, però, abbiamo il dovere, tutti insieme, di dare un segnale forte per tranquillizzare, nella misura del possibile, i risparmiatori e tutti gli stakeholders, le imprese affidate, i dipendenti, e le loro famiglie, delle banche potenzialmente interessate. Per questo noi speriamo che ci possa essere un consenso ampio su questo intervento. Qualcuno ha detto: si doveva intervenire prima. Possibile, si può discutere su questo; certo è che adesso, a questo punto, mi pare che ci sia un consenso ampio, ci pare ci sia un consenso ampio sulla opportunità-necessità di intervenire. Voglio sottolineare che il fatto che non ci sia un impatto sull’indebitamento netto della pubblica amministrazione non è un fatto meramente contabile, relativo alle norme europee. Il punto è che qui si tratta di un’operazione una tantum, che aumenta il debito pubblico e, a fronte di questo debito pubblico, c’è acquisizione di attività finanziarie; per questo l’intera operazione va sotto la linea dell’indebitamento netto. L’esperienza di altri Paesi mostra che gli interventi pubblici spesso sono stati a vantaggio, nel medio-lungo termine, dello Stato, e dunque del contribuente. Questa è un’operazione molto diversa, in termini di finanza pubblica e di sostanza economica, da un’operazione, ad esempio, di sostegno dell’economia, che è un’operazione in cui tu ogni anno, verosimilmente, spendi una determinata cifra, che quindi va nell’indebitamento netto e nell’indebitamento netto strutturale. Quindi, a chi dice che ci sono utilizzi alternativi delle risorse la risposta è che, in realtà, no, non ci sono altri utilizzi delle risorse che possano generare lo stesso impatto modesto e, addirittura, ripeto, potenzialmente positivo sui conti pubblici. Concludo con una considerazione: ripeto, alcuni sostengono che si doveva intervenire prima, si è perso tempo. Ripeto, su questo si può discutere. A mio avviso e a nostro avviso occorreva aspettare gli esiti degli stress test, che sono arrivati a luglio, ed era opportuno fare tutto il possibile perché le operazioni di mercato avessero corso, e ancora adesso siamo in attesa dell’esito delle operazioni di mercato. È però, a questo punto, del tutto opportuno aprire un ombrello a titolo precauzionale, per evitare che ci possano essere, nel caso le operazioni dimercato non andassero a buon fine, conseguenze negative sulle singole banche e, potenzialmente, anche sul resto del sistema.
Ai delegati che si riuniscono domenica nell’assemblea del PD, da economista, mi sento di dire una sola cosa: non è vero che ci sono tante diverse opzioni di politica economica fra cui si può liberamente scegliere. Certo, ci possono essere “narrazioni” diverse, certo si possono fare le riforme più o meno velocemente, certo si può essere più o meno empatici rispetto alle aree di disagio sociale e più o meno attenti a costruire il consenso. Su queste questioni ci sono margini per discutere, anche per contrastare al meglio le tentazioni populiste che mettono a rischio la nostra democrazia. Ma quando dalla “politica” si passa a quelle che Nino Andreatta chiamava “le politiche”, ossia le cose da fare, allora i margini di manovra diventano stretti. Nelle linee di fondo, non ci sono “svolte” possibili rispetto al moderno riformismo che abbiamo praticato con il governo di Matteo Renzi. La questione decisiva è quella del bilancio pubblico, e c’è poco da scialare. Le risorse sono scarse e tali rimarranno per molti anni a venire, fino a quando non saremo riusciti a ridurre drasticamente il nostro esorbitante debito pubblico. Il tema qui è a quale velocità dovremo ridurre il disavanzo. Con il governo Renzi lo abbiamo diminuito, ma sfruttando i bassi tassi di interesse e facendo ricorso a cospicue dosi di entrate una tantum per le coperture. Personalmente ho approvato questa politica, ma sono consapevole che da oggi in poi dovremo essere più rigorosi – magari non tanto quanto ci chiede la Commissione Europea, ma certo più rigorosi. Dunque scordiamoci di poter fare grandi cose finanziate in disavanzo. A chi racconta delle cose meravigliose che potremmo fare per tante nobili finalità dobbiamo rispondere, con senso di responsabilità, che è molto difficile fare di più di quanto si è fatto fino ad ora, almeno per quanto riguarda le risorse; sulla qualità degli interventi invece c’è sempre spazio per migliorare. Anche sul fronte fiscale gli spazi sono davvero risicati. Non si può certo proporre di tornare al vecchio metodo di aumentare le tasse per far fronte a esigenze sempre crescenti di spesa, perché la pressione fiscale è intollerabilmente alta sia sulle famiglie che sulle imprese. È anche difficile immaginare che si possano ulteriormente ridurre le tasse, dopo i tagli realizzati dal governo Renzi,se non nella misura in cui e a mano a mano che si riesce a recuperare gettito dal (sacrosanto e necessario) contrasto all’evasione. Sul fronte della spesa, non credo che ci siano margini ampi per ottenere risparmi ulteriori che siano socialmente e politicamente sostenibili. In ogni caso i risparmi che riusciremo a realizzare dovranno essere devoluti prioritariamente alla riduzione del disavanzo.