Per la trasparenza dei conti pubblici: ecco come dovrebbe essere presentata la manovra.

TUTTA LA MANOVRA 2019-2021 IN POCHI CLICK PER LA TRASPARENZA DEI CONTI PUBBLICI

Di Alessandro Banfi

Il file Excel che presentiamo qui  è un esempio di quello che vorremmo facessero le istituzioni per rendere meno difficile e più trasparente la lettura della manovra finanziaria.

Il foglio principale, denominato “Tabella di sintesi”, riassume l’importo delle principali misure, suddivise in due grandi categorie: una descrive il “reperimento delle risorse” ovvero quelle misure che concorrono positivamente al finanziamento della manovra di finanza pubblica, l’altra invece, sotto la voce “uso delle risorse”,descrive quelle misure che impattano negativamente l’indebitamento della pubblica amministrazione.

Entrambe le voci si suddividono in entratee spese, a seconda della natura delle misure. Concorreranno quindi a generare un “reperimento delle risorse” le “Maggiori entrate” (voci A) e le “Minori spese” (Voci B). Contribuiscono, di contro, ad un utilizzo delle risorse le voci “Minori entrate” (voci C) e “Maggiori spese” (Voci D).

Le voci in blu e sottolineate rappresentano un collegamento ipertestuale che rinvia ad un foglio nel quale sono contenute le singole misure che la compongono. Ad esempio, cliccando sulla voce “Rimodulazione clausole di salvaguardia IVA e accise”, si rimanda ad un foglio nel quale è possibile apprezzare l’importo stanziato sia per la sterilizzazione dell’aumento dell’IVA che per l’abrogazione dell’aumento delle accise sulla benzina.
Cliccando, invece, sui numeri dei singoli articoli o commi si rimanda alla relazione tecnica della legge di bilancio o del decreto fiscale, così da poter leggere direttamente l’analisi tecnico-normativa del singolo comma.

Il tramonto della “manovra del cambiamento”, l’audizione di Tria tra espansione e recessione, di Giampaolo Galli; Inpiù, 5 dicembre 2018

L’iter di una legge di bilancio è sempre travagliato. Questa volta è peggio del solito, dato che, se si giungerà ad un accordo con la Commissione, un maxiemendamento cambierà i saldi e non si sa che fine faranno gli emendamenti approvati in Commissione.

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Se per i politici la micro impresa è ancora bella, di Giampaolo Galli, InPiù, 27 novembre 2018

Forse dobbiamo accontentarci che la Lega abbia accettato, almeno per ora, di rinunciare al progetto originale di una flat da 50 miliardi, una follia dal punto di vista finanziario e anche dell’equità sociale, e abbia ripiegato su una mini flat tax per partite Iva e lavoratori autonomi che non dovrebbe costare più di 2 miliardi allo Stato. Eppure ci sono tante cose che non vanno nel nuovo sistema che – ricordiamolo – introduce regimi di grande favore per due categorie di contribuenti: chi ha vendite sotto i 65.000 euro e chi sta fra 65.000 e 100.000 euro.  Il primo problema, ovvio, riguarda l’effetto “scalino” che si verrà a determinare in corrispondenza delle due soglie di euro 65.000 e 100.000. Evidente l’incentivo a occultare fatturato per stare al di sotto di una soglia; evidente anche la disparità di trattamento fra chi sta poco sotto o poco sopra una delle due soglie.

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Il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro: teorie sovraniste e realtà, di Giampaolo Galli. Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani- Università Cattolica

Secondo alcune versioni delle teorie sovraniste, il cosiddetto divorzio fra la Banca d’Italia e il Tesoro nel 1981 sarebbe all’origine dei guai dell’Italia perché avrebbe comportato forti aumenti dei tassi d’interesse e la grande crescita del debito pubblico negli anni ottanta. In realtà, il divorzio fu, dal punto di vista formale, una piccola riforma, largamente incompiuta; in particolare non tolse ai governi il potere di decidere sui tassi d’interesse e vari canali di finanziamento monetario del deficit rimasero aperti. Tale potere non fu però utilizzato perché nella politica e nella società italiana stava maturando un cambiamento profondo: l’Italia non voleva più essere il paese dell’inflazione e delle continue svalutazioni del cambio, perché ciò era considerato nocivo per la crescita economica e per la coesione sociale. Quel cambiamento si era già tradotto nell’adesione, nel 1979, al Sistema Monetario Europeo e poco dopo sarebbe sfociato nel lodo Scotti e nel cosiddetto decreto di San Valentino con cui governo e parti sociali (o alcune di esse) si impegnarono a ridurre rapidamente l’inflazione. All’inizio degli anni ottanta, i tassi di interesse nominali e reali aumentarono in tutto il mondo. Se l’Italia si fosse chiamata fuori dal cambiamento, l’inflazione, alimentata dal secondo shock petrolifero, sarebbe ulteriormente aumentata. Il problema che non si riuscì a risolvere allora e che è ancora irrisolto oggi è quello del debito pubblico. Quando la società e la politica scelgono di combattere l’inflazione, lo Stato perde il gettito della tassa da inflazione e deve ricorrere ad altre forme di imposizione o a riduzioni della spesa per mantenere in equilibrio i conti pubblici. Ciò fu fatto con successo in tutti i paesi avanzati, ad eccezione dell’Italia. Chi critica il divorzio rimpiange i tempi in cui lo stato si finanziava con la tassa da inflazione che alla fine degli anni settanta raggiunse il 12 per cento del Pil, il doppio dell’attuale gettito dell’Iva; era una tassa opaca ed iniqua, perché non tutti avevano le cognizioni necessarie per comprenderne gli effetti o per evitarla investendo in attività alternative o all’estero. L’anomalia dell’Italia non è il divorzio, ma una politica di bilancio che ancora oggi non è riuscita a fare i conti con la realtà. A chi dice, in ogni caso esagerando, che il divorzio fu un colpo di mano in spregio delle istituzioni democratiche è facile rispondere che nessun parlamento aveva mai autorizzato quell’enorme scippo di risorse ai danni dei risparmiatori che lo Stato attuò negli anni settanta con la tassa da inflazione.  

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La pace fiscale: la montagna e il topolino, 13 novembre, Inpiù.

La montagna ha partorito il topolino. La pace fiscale partiva dai 1.058 miliardi di crediti accumulati da Equitalia e per la Lega avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato ben 60 miliardi in due anni. A conti fatti, secondo la relazione tecnica al decreto fiscale, l’incasso per lo Stato sarà di soli 2,9 miliardi da oggi al 2021.

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