Le cupidigie dei politici sulle riserve auree, InPiù, 12 febbraio 2019

L’oro della Banca d’Italia fa gola a chi pensa solo alle prossime elezioni e non sa come far quadrare il bilancio dello Stato. Si tratta di 2.452 tonnellate che, valutate al prezzo del 31/12/2017, valgono 85,3 miliardi di euro. Sembrano tanti soldi, ma sono meno del 5% del nostro debito pubblico. Se dunque venisse venduto tutto l’oro e la vendita non avesse alcun effetto sul prezzo, il debito pubblico scenderebbe al 126%. Si tratterebbe di una riduzione molto modesta, che non farebbe alcuna differenza ai fini dello spread. Questo infatti diminuirebbe se il rapporto debito/Pil venisse collocato su una solida traiettoria discendente e non certo se venisse ridotto per effetto di un’operazione straordinaria e non ripetibile. In realtà, la vendita di un quantitativo tanto massiccio di oro ne farebbe crollare il valore. Salvatore Rossi, nel suo libro “Oro“, ci ricorda che l’offerta globale di oro nel 2016 è stata di 4.600 tonnellate, cui si sono aggiunte 1.300 tonnellate di oro“riciclato”, ossia non estratto. Se a questi ordini di grandezza si aggiungesse l’oro della Banca d’Italia, il prezzo crollerebbe, cosa che peraltro è già successa in passato quando qualche Banca Centrale ha cercato di smobilizzare il suo oro.

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La fuga dei capitali dall’Italia, di Giampaolo Galli, Il Foglio, 2 febbraio 2019.

La caduta del Pil era stata ampiamente preannunciata dai tanti segnali di sfiducia che si sono accumulati nei mesi scorsi sull’economia italiana. L’aumento dello spread dal maggio scorso e la caduta degli indici di fiducia delle imprese ne sono la manifestazione più evidente.  Ma un indicatore non meno importante è quello della Banca d’Italia sui movimenti di capitali. Da questi dati si ricava che dal maggio scorso c’è stata una consistente fuoriuscita di capitali, italiani ed esteri, dall’Italia. Non una fuga precipitosa, anche se in qualche momento abbiamo rischiato grosso, ma una fuoriuscita continua, pesante e diffusa a tutti i comparti, a fronte della quale non stupisce che in Italia aumenti lo spread, la borsa cada più che altrove e gli investimenti produttivi si siano quasi fermati.

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Spread sotto 250, ma non è scampato pericolo, di Giampaolo Galli, Inpiù, 28 gennaio 2019.

Le parole di Conte a Davos hanno allarmato i mercati

Da quando si è trovato l’accordo fra il governo e la Commissione Europea sulla manovra, lo spread con la Germania ha continuato a scendere e negli ultimi giorni si è collocato sotto 250. Scampato pericolo dunque? La risposta è no: il difficile deve ancora venire.

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Reddito di cittadinanza con il trucco, di Giampaolo Galli, Inpiù, 22-01-2019

In origine, cioè durante tutta la passata legislatura e durante la campagna elettorale, il reddito di cittadinanza costava, secondo gli stessi proponenti, 16 miliardi, cui andava aggiunto un miliardo per Centri per l’Impiego. La platea e l’ammontare del beneficio erano sostanzialmente gli stessi che vengono propagandati adesso: 5 milioni di individui e 780 euro per un single. Nella prima versione della legge di bilancio, quella con il deficit al 2,4%, le risorse furono dimezzate e nella versione definitiva sono state ulteriormente ridotte a poco più di 6 miliardi. L’unico rilevante cambiamento che è intervenuto rispetto al disegno originario riguarda la differenziazione fra chi ha una casa di proprietà e chi vive in affitto, in assenza della quale l’INPS aveva calcolato un costo di ben 30 miliardi. Sono poi stati introdotti una serie di paletti il cui effetto dovrebbe essere quello di scoraggiare le frodi e dunque di ridurre un po’ la platea. Inoltre per il 2019, la misura inizia a maggio, quindi si perdono 4 mesi.  Rimane il fatto che fra 16 miliardi e 6 miliardi c’è un abisso e che nel 2020, quando la misura sarà a regime, il fondo aumenterà a soli 7,5 miliardi.

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Decreto approvato, ma c’è poco da festeggiare. In arrivo la manovra aggiuntiva. di Giampaolo Galli, Inpiù, 18 gennaio 2019.

Il governo festeggia l’approvazione del decreto su quota 100 e reddito di cittadinanza. Dovrebbe invece preoccuparsi del fatto che, salvo sorprese, la crescita 2019 si collocherà molto sotto la stima ufficiale di 1% e che, di conseguenza, il deficit sarà più alto di quel 2% che è stato faticosamente negoziato con la Commissione Ue per evitare la procedura d’infrazione. Non si può escludere che l’economia sia già in recessione e che rimanga in recessione nel 2019. Ciò avviene per il combinato disposto di fattori esterni e della caduta della fiducia che negli ultimi mesi si è manifestata nell’aumento dello spread. Le difficoltà di alcune banche, in gran parte conseguenza della lunga recessione e dell’aumento dello spread, aggravano la situazione. L’approvazione del decreto peggiora ulteriormente le cose perché comporta, per la prima volta da molti anni, un notevole incremento della spesa corrente (circa il 3%), proprio nel momento in cui la componente 5 stelle del governo sta di fatto bloccando gli investimenti pubblici.

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