Risparmi di spesa da RdC e Quota 100, di Andrea Gorga, Luca Gerotto e Giampaolo Galli, 2 luglio 2019, Osservatorio CPI

Nel comunicato del 1° luglio, a seguito del Consiglio dei Ministri, il governo ha annunciato che l’indebitamento netto del 2019 si ridurrà di 7,6 miliardi (0,4 per cento del PIL) rispetto alle previsioni del Def. Questo risultato sarebbe dovuto principalmente a maggiori entrate e a risparmi su Quota 100 e Reddito di Cittadinanza. Se da un lato le previsioni sulle entrate ci sembrano piuttosto ottimistiche, dall’altra, proiettando i comportamenti registrati sino ad oggi, i risparmi di spesa su Quota 100 e Reddito di Cittadinanza potrebbero essere superiori, 3 miliardi invece che 1,5, come indicato dal governo. La prudenza nella valutazione del governo è probabilmente dovuta al fatto che alcuni chiarimenti normativi sono stati pubblicati solo nelle ultime settimane e che i comportamenti dei potenziali beneficiari delle due misure potrebbero cambiare nel tempo, man mano che se ne comprende l’effettivo funzionamento. Leggi tutto “Risparmi di spesa da RdC e Quota 100, di Andrea Gorga, Luca Gerotto e Giampaolo Galli, 2 luglio 2019, Osservatorio CPI”

Basteranno le decisioni di ieri per evitare la procedura? di Giampaolo Galli, Inpiù, 02/07/2019

Basteranno le decisioni del Consiglio dei Ministri di ieri ad evitare la procedura d’infrazione a carico dell’Italia? Qualche dubbio è legittimo. La cosa più evidente che manca è una valutazione di come si potrà affrontare la manovra 2020. Nulla si dice su come si potrà evitare l’aumento dell’Iva e su come si potranno finanziare la flat tax e le cosiddette spese indifferibili, per un totale di circa 40 miliardi. Ma anche i conti 2019 traballano. La mancanza più evidente sono le privatizzazioni che erano state messe a bilancio per ben18 miliardi; anche di queste non si sa più nulla ed è significativo che non ne faccia cenno il comunicato del Mef successivo al Consiglio dei Ministri che pure su molte altre poste fornisce informazioni di notevole dettaglio. L’unico punto a favore del governo è che non sembra impossibile che l’indebitamento netto di quest’anno sia inferiore alle previsioni del Def del maggio scorso di 7,6 miliardi e che quindi il deficit si fermi al 2%, anziché al 2,4% che era la previsione di maggio.

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Divari territoriali e investimenti pubblici nel Mezzogiorno, di Alessandro Banfi e Giampaolo Galli, 1 luglio 2019, Osservatorio CPI

Una delle questioni cruciali che si pongono in relazione alla richiesta di autonomia differenziata da parte di alcune regioni del Nord riguarda la quota di investimenti pubblici che debbono rimanere nel Mezzogiorno. L’impostazione tradizionale della politica di sviluppo del Mezzogiorno postula che le risorse ordinarie siano distribuite sul territorio nazionale in ragione della popolazione residente, mentre le risorse, nazionali ed europee, dedicate specificamente allo sviluppo e alla convergenza debbano avere carattere aggiuntivo. Nella storia dell’Italia post bellica questa condizione non si è mai realizzata compiutamente e ancor oggi i dati mostrano che le risorse cosiddette aggiuntive hanno in realtà la funzione di supplire a carenze di vario tipo, non solo finanziarie, che fanno sì che le risorse ordinarie effettivamente spese nel Mezzogiorno siano assai inferiori alla quota della popolazione. Va peraltro detto che il fatto che la somma delle risorse ordinarie e aggiuntive sia all’incirca proporzionale alla popolazione comporta che il rapporto investimenti/Pil nel mezzogiorno sia molto più alto, a volte quasi doppio, rispetto al Centro-Nord. Ciò comporta ovviamente che gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno siano molto più alti del contributo dell’area alle entrate fiscali delle Pubbliche Amministrazioni. Comporta anche che, in linea di principio, il contributo degli investimenti alla produttività del sistema economico dovrebbe essere molto più elevato nel Mezzogiorno; il fatto che invece i divari in termini di reddito per abitante non diminuiscano indica o che gli investimenti non sono sufficienti a compensare le molte diseconomie del territorio oppure che l’efficienza della spesa è inferiore nel Mezzogiorno.

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La tregua con l’UE e i problemi rimandati al 2020, di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli, Il Sole24Ore, 28 giugno 2019

Dai segnali che provengono dalla
Commissione si può ritenere
possibile che, almeno per qualche
mese, l’Italia riesca a evitare la
procedura d’infrazione. Un
compromesso sul passato e una
sospensione del giudizio sul futuro,
sino all’autunno prossimo, sembra
possibile in virtù di considerazioni sia
tecniche che politiche. Se così fosse
sarebbe certamente una buona
notizia, ma non si può non
sottolineare come i conti pubblici
rimarrebbero fortemente squilibrati e
continuerebbero a essere fonte di
fragilità per l’Italia.
Il rinvio all’autunno sembra
possibile innanzitutto per motivi
politici. L’Europa è ancora alle prese
con il grande problema della Brexit e
probabilmente i leaders europei
preferiscono affrontare un problema
alla volta. Inoltre è in corso il
negoziato per le nomine al vertice
delle istituzioni europee; in questo
negoziato, l’Italia ha poche chances e
proprio per questo può far pesare il
suo supporto ai candidati di altri paesi
per ottenere una ‘minoranza di
blocco’ ed evitare la procedura.
Un rinvio è anche possibile per
motivi tecnici. Secondo il ministro
Tria infatti il deficit 2019 non sarà al
2,5% del Pil, come nelle ultime
previsioni della Commissione, ma al
2,1%. Tuttavia, il vero buco nero dei
conti riguarda il 2020 e oltre. E qui
Tria e Conte non hanno una linea di
difesa dal momento che non sanno
come potranno essere trovati i 40 o 45
miliardi che servono. Ma il governo
può ragionevolmente dire alla
Commissione che i conti sul 2020
verranno fatti nella Legge di Bilancio
e quindi chiedere di fatto un rinvio a
ottobre.
Ma qual è il vero stato dei conti
pubblici italiani? È immaginabile che
nel 2020 e negli anni successivi il
debito pubblico possa cominciare a
ridursi rispetto al Pil, o quantomeno a
stabilizzarsi?
Questa è la domanda di fondo che
nessuno può eludere e che tornerà
comunque a perseguitare l’Italia nei
prossimi mesi. Non si tratta
ovviamente di una domanda nuova,
ma oggi assume un significato
particolare alla luce dei rischi dello
scenario internazionale. Gli effetti
della guerra commerciale fra USA e
Cina si stanno rivelando molto più
gravi di quanto non si potesse
immaginare. Inoltre, la fase
espansiva statunitense che è seguita
alla crisi internazionale è una delle
più lunghe che si ricordino e un
rallentamento sembra ormai
probabile. Vi sono poi molti fattori di
rischio specifici e difficilmente
ponderabili, ma molto reali come
quello di un conflitto USA-Iran o di
una recrudescenza delle tensioni nel
Medio Oriente. In queste condizioni,
rischiano di cadere come birilli i
paesi che sono finanziariamente più
fragili, e l’Italia è fra questi.
Nel merito, non è affatto ovvio
che il disavanzo 2019 possa davvero
attestarsi al 2,1%. È vero che le stime
di spesa per Reddito di Cittadinanza
e Quota 100 erano state fatte con un
opportuno margine di prudenza, ma
ci sembra improbabile che si possa
fare affidamento sui risparmi che si
sono manifestati sino ad oggi, dal
momento che le domande sono
ancora aperte. Inoltre, le
informazioni che abbiamo sulle
entrate non sono del tutto positive: va
molto bene l’Iva, ma il totale delle
entrate tributarie cresce solo dell’1%
(primi 4 mesi dell’anno) e le entrate
contributive calano del 2,1% (primi 3
mesi).
Per il 2010, rimane molto elevato
il rischio che nella prossima Legge di
Bilancio per far tornare i conti si
finisca per fare affidamento su una
forte revisione verso l’alto del
disavanzo. Il punto di fondo è che le
due misure chiave del 2019, Reddito
di Cittadinanza e Quota 100, non
sono finanziate. Nel 2019
formalmente sono state coperte con
molti rinvii di spese e anticipi di
imposte, ossia con misure che
rinviano i problemi agli anni
successivi. Nel 2020 e 2021, la
copertura è rappresentata
principalmente dagli aumenti
dell’IVA previsti nelle clausole di
salvaguardia che per il governo e –
ciò che più conta – per il Parlamento
non devono essere messi in atto. A
queste considerazioni si aggiunge il
fatto che si è praticamente persa ogni
traccia di quattro azioni fondamentali
che potrebbero migliorare la
prospettiva dei conti pubblici: la
spending review, la riduzione delle
spese classificate come dannose per
l’ambiente, il disboscamento delle
spese fiscali e le privatizzazioni.
Queste ultime sono iscritte nel
bilancio 2019 per ben 18 miliardi.
Tutto ciò avviene in un contesto
in cui non è chiara la collocazione
internazionale dell’Italia (Conte va in
Cina e Salvini in USA), vari
esponenti della maggioranza
continuano a metter in dubbio
l’appartenenza dell’Italia all’Unione
Monetaria e si approvano
emendamenti, ad esempio sull’ex-
Ilva, che creano sconcerto nel mondo
delle imprese.
In queste condizioni, non c’è da
meravigliarsi se lo spread rimane
elevato, nonostante la recente
riduzione legata agli annunci della
Bce, la crescita rimane stentata e
l’effetto ‘palla di neve’ tende a far
crescere in prospettiva il rapporto fra
debito e Pil, mettendo in discussione
la sua sostenibilità.
@lorenzocodogno
@giampaolog

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