Blocco dei settori “non essenziali”: quali risvolti per l’economia nazionale? Ocpi, 7 aprile 2020, di Giampaolo Galli, Raffaela Palomba e Federica Paudice

Nel decreto del 25 marzo è stata aggiornata la lista dei settori ritenuti essenziali per il sistema e che pertanto possono continuare la loro attività anche nella situazione di emergenza attuale. I settori “non essenziali”, la cui produzione viene quindi bloccata, rappresentano circa il 40 per cento del valore aggiunto e della produzione dell’economia italiana. Ciò ha delle ripercussioni dirette e indirette sulla catena del valore delle imprese. Nella presente nota si utilizzano le tavole Input-Output per stimare i possibili effetti sulle principali variabili economiche. Particolarmente preoccupanti risultano essere gli effetti sulle esportazioni e sugli investimenti, bloccati nella misura del 63 e del 43 per cento rispettivamente.

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Come raggiungere un accordo nell’Eurogruppo, di Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Enrico Letta, 2 aprile 2020

La crisi in corso è più violenta di quella del 2008. Le risposte devono quindi essere più potenti e più rapide di allora per evitare il ripetersi del disastro economico e sociale che allora ne seguì. La BCE sta facendo da subito il massimo, molto più di allora: per molti paesi, i massicci acquisti di titoli di stato rappresenteranno una fondamentale fonte di finanziamento non solo dei deficit pubblici, ma anche dei titoli di stato già in circolazione che dovranno essere ripagati nel corso di quest’anno. Ciononostante, anche per ridurre il peso che grava sulla BCE, è utile integrare questa fonte di finanziamento con una risposta congiunta e solidale da parte dei governi dell’area dell’euro.

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Negoziato UE: come uscirne, di Giampaolo Galli e Alfredo Macchiati, Inpiù, 29 marzo 2020

Per ottenere risultati in un negoziato, bisogna sapere esattamente qual è la ragione del contendere e quali sono le ragioni degli altri. Nel negoziato in corso al Consiglio Europeo, la ragione del contendere è che l’Italia, e alcuni altri paesi ad alto debito, temono di non farcela ad affrontare la crisi con mezzi propri e quindi chiedono una garanzia europea, ossia a carico dei paesi a basso debito. Se questa è la sostanza del negoziato, le ragioni degli altri sono facilmente comprensibili e sono uguali e simmetriche alle nostre: per i leader del Nord è molto difficile spiegare ai loro elettori-contribuenti che devono devolvere risorse, anche solo eventuali, a favore dei paesi ad alto debito.

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IL VIRUS E L’ECONOMIA: IL MES CI CONVIENE, di Giampaolo Galli, Inpiù, 25 marzo 2020

Molti sostengono che questa volta, a differenza del 2009, lo shock è simmetrico e da questo fanno discendere che il finanziamento delle necessarie misure di sostegno all’economia deve avvenire attraverso strumenti comuni a tutti i paesi europei, come l’emissione di Eurobonds o Coronabonds da parte dell’Ue o del Mes. Purtroppo non è così. Anche nel 2009 lo shock iniziale, la crisi dei subprime, colpì tutti i paesi europei all’incirca con la stessa intensità, ma le asimmetrie si manifestarono molto rapidamente. I paesi che avevano i conti in ordine furono in grado di attuare misure di sostegno dell’economia molto rilevanti e attenuarono la caduta. L’Italia non lo fece perché non se lo poteva permettere, come dimostrò la successiva crisi del 2011. Oggi l’asimmetria è ancora più forte di allora perché nel frattempo la Germania e numerosi altri paesi hanno molto ridotto il loro debito pubblico, mentre noi lo abbiamo di molto aumentato. Il risultato è che la Germania ha già varato misure che impattano sul deficit per qualcosa come 123 miliardi (il 3,6% del Pil), cui si aggiunge un sostegno “illimitato” ai due fondi (KfW e WSF) che dovrebbero garantire crediti alle imprese per oltre mille miliardi. L’Olanda ha varato misure per il 2,5% del Pil. Saranno questi paesi disposti a farsi carico di una emissione di titoli europea, con distribuzione simmetrica del ricavato, per cifre tanto rilevanti? Saranno in grado di spiegare ai loro elettori perché lo fanno? Lo auspichiamo, ma francamente ne dubitiamo. Forse si riuscirà a fare qualcosa, ma le cifre saranno molto piccole rispetto a ciò che sarebbe necessario.

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Attivare il Mes e la BCE per un grande piano di sostegno, di Giampaolo Galli, Inpiù, 19 marzo 2020

Al di là dell’impennata dello spread di ieri e degli interventi potenziati della Bce fino a 750 miliardi, l’opinione della maggior parte degli analisti è che, se l’epidemia dura più di un mese o due, cosa che sembra molto probabile, gli effetti saranno peggiori di quelli del 2009. Nel biennio 2008-2009, il nostro Pil cadde cumulativamente del 6,2% rispetto al 2007 e il deficit pubblico salì dall’1,3% del Pil nel 2007 al 5,1%. Il debito pubblico aumentò di 15 punti di Pil, dal 103,9% del 2007 a 119,2 nel 2010. Sarebbe aumentato ulteriormente negli anni successivi per via della crisi dei debiti sovrani in Europa, che in larga parte fu una conseguenza della crisi precedente.E’ probabile che oggi il deficit aumenti più di allora perché vi è un ampio consenso riguardo alla necessità di sostenere con ogni mezzo possibile i sistemi sanitari e l’economia. Il governo ha appena varato misure per 1,4% del Pil e già dice che questo è solo un primo passo. Comunque, se l’aumento del debito fosse nell’ordine di quello della crisi del 2009, esso arriverebbe agevolmente verso il 150% del Pil nel giro di uno o due anni. Poiché il mercato anticipa queste previsioni, la crisi si manifesta adesso.

La questione allora diventa come fare ad evitare che alla crisi da Covid-19 faccia seguito una nuova crisi del debito sovrano, come nel 2011. A mio avviso, l’unica strada è quella di mettersi in condizione di poter utilizzare gli OMT della BCE, ossia interventi illimitati a sostegno di un Paese. Per fare questo occorre prima aver concordato un programma con il MES, il che può avvenire a fronte di una richiesta italiana di un prestito precauzionale. Questa tipologia di prestiti non comporta un giudizio negativo nei confronti del Paese e può essere erogato a fronte di impegni, da concordare in un Memorandum of Understanding, che possono non essere particolarmente gravosi e, soprattutto, dovrebbero prevedere una riduzione del disavanzo solo dopo la fine dell’epidemia, nel quadro di un piano a medio termine concordato nelle linee generali sin dall’inizio. Per l’immediato, la Commissione e l’Eurogruppo hanno già affermato che non c’è altra via che quella di corpose misure di sostegno. Con la creazione del MES nel 2012 l’Europa si è dotata di un meccanismo di sostegno degli Stati in difficoltà. Questo meccanismo va attivato. E va attivato adesso, prima che una crisi del debito ci metta nuovamente in ginocchio, dal punto di vista finanziario e anche politico, indebolendo così la nostra forza contrattuale. Non tentare questa strada oggi sarebbe un’omissione colpevole.