L’economia in Quark – Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Alessandro De Nicola discutono i recenti sviluppi in sede europea attorno alla vicenda del Recovery Fund e commentano l’operato del Governo italiano in relazione al Disegno di Legge di Bilancio e ai progetti del Next Generation EU.
di Giampaolo Galli, Il Riformista, 24 novembre 2020
Il piano NextGenerationEu (NGEU), di cui il Recovery Fund rappresenta oltre il 90%, è una doppia scommessa da parte delle due nazioni leader dell’Unione, la Germania e la Francia. E’ una scommessa sull’Europa e la sua capacità di rimanere coesa di fronte a quell’innovazione straordinaria che è l’introduzione di un debito comune, malgrado la riluttanza di sempre dei nordici e, più di recente e per ragioni diverse, i veti di Polonia, Ungheria e Slovenia. Ed è una scommessa sull’Italia che con questi fondi viene aiutata a rimarginare le ferite della pandemia facendo le riforme, in particolare della pubblica amministrazione e delle giustizia, che sono ritenute necessarie per farla uscire dalla condizione di stagnazione economica e alto debito in cui versa da un quarto di secolo. La scommessa sull’Europa consiste nel fatto che si consente all’Unione di avere un proprio debito sovrano, per un ammontare di 750 miliardi che rappresentano il 5 per cento del Pil dell’Unione Europea. Si tratta di una cifra piccola se confrontata con il debito di qualunque stato sovrano unitario, ma che non ha precedenti nella storia dell’UE. Nei patti, questo debito ha carattere eccezionale e dovrà essere interamente ripagato entro il 2058. Ma è lecito intravedere in questa iniziativa un primo passo verso un vero bilancio federale dell’Unione. Questi 750 miliardi sono i veri e propri “eurobonds” prefigurati tanti anni fa da Romano Prodi. Ma questo termine ancora oggi è un tabù per paesi del Nord ed è bandito dal lessico della diplomazia comunitaria. Si può forse dire che le parole rimangono tabù, ma i fatti precedono le parole. Il NGEU rappresenta poi una grande scommessa sull’Italia. Lo è innanzitutto sotto il profilo quantitativo: sul totale di 750 miliardi all’Italia andrebbero 208 miliardi, ossia il 28 per cento, mentre il Pil dell’Italia è il 13 per cento del Pil dell’Unione. Anche sulla sola componente dei grants del Recovery Fund (313 miliardi) l’Italia pesa per il 20 per cento, ossia oltre 64 miliardi. E’ stato detto che alla fine dei conti saranno pur sempre i cittadini europei, e pro quota, quelli italiani a pagare il conto dei grants; chi ragiona in questo modo, conclude che il beneficio netto è solo il 7 per cento (20-13) del totale dei grants. Questo modo di ragionare non tiene conto del fatto che l’UE è impegnata a trovare fonti proprie di finanziamento che dovrebbero pesare poco sui cittadini, come una carbon border tax o una web tax. Né tiene conto del fatto, di gran lunga il più importante, che i grants non appesantiscono i bilanci nazionali; il debito è solo dell’Unione e non degli Stati Membri. Questo fa una notevole differenza per i mercati e le agenzie di rating.
Il Presidente del Consiglio dice che è in corso di elaborazione e in attesa di via libera informale dei tecnici della Commissione. Parliamo ovviamente del Pnrr, il piano italiano per l’utilizzo dei fondi (209 miliardi) del NextGenerationEu. Per ora è il segreto meglio custodito nella storia della Repubblica. Ed è lecito il dubbio che il piano sia ancora molto lontano da ciò che ci chiedono la Commissione e il Consiglio. Ricordiamo che per essere approvato dalla Commissione e dare accesso ai finanziamenti, il piano deve porsi una serie di obiettivi che, nel loro insieme, configurano una vera e propria visione del futuro dell’Italia, per rimarginare le ferite della pandemia e ritornare alla crescita. Vanno rimossi gli ostacoli che limitano il potenziale di crescita dell’economia: a questo fine i finanziamenti europei devono esser utilizzati, oltre che per colmare il grave gap di infrastrutture dell’Italia, per agevolare azioni volte a dare efficienza e riformare la pubblica amministrazione, la giustizia, l’istruzione, il mercato del lavoro. Il piano deve far leva sulle due grandi transizioni, verde e digitale, che stanno al centro della strategia dell’Ue. Come si vede, si tratta di questioni di grande spessore da cui dipende il futuro dell’Italia. Si tratta però di questioni su cui ci sono idee confuse e comunque molto diversificate all’interno del governo: quanti ministri sono consapevoli del fatto che da un quarto di secolo l’Italia è un paese in declino, ossia con un tasso di crescita fra i più bassi al mondo? Forse è il timore di lacerazioni all’interno del governo che induce Conte a mantenere il riserbo. Ma ha ragione il Direttore Generale di Confindustria Francesca Mariotti che, in audizione presso le Commissioni Bilancio riunite, chiede un dibattito pubblico con tutti gli stakeholders. In ogni caso, occorre che al più presto venga coinvolto il Parlamento. E’ impensabile che questioni tanto importanti vengano rese note solo all’ultimo minuto, quando si tratterà di presentare il piano alla Commissione. A quel momento, sarà troppo tardi.
di Giampaolo Galli e Francesco Tucci, Ocpi,12 novembre 2020
Negli ultimi anni il valore aggiunto reale del settore “Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale”, misurato dall’Istat, è sceso in misura consistente: -5,7 per cento fra il 2010 e il 2019. La diminuzione non è dovuta al fattore lavoro, dato che nel periodo i livelli occupazionali sono leggermente aumentati, per effetto di un forte aumento nel settore della sanità e di una riduzione nel settore della pubblica amministrazione in senso stretto. La produttività del lavoro è scesa del 6,3 per cento. Leggi tutto “La caduta del valore aggiunto reale della PA”