Decreto Sostegni e il condono sulle vecchie cartelle esattoriali.

Che cosa ci possiamo aspettare dal nuovo Decreto Sostegni e perché è stato fatto il condono sulle vecchie cartelle esattoriali. Ne discutono gli economisti Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Alessandro De Nicola in una nuova puntata di Economia in quark.

Qui il link al video su “La Stampa”

LE ALTRE PUNTATE
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– Il dopo Zingaretti, il blocco delle esportazioni di vaccini e la consulenza McKinsey
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– Ristori e regolamentazione in tempo di Covid, che tipo di bilanciamento dovrebbero avere
– Ecco quali sono i rischi politici ed economici del nuovo governo Draghi
– Arrivano le nuove stime del Fmi per l’economia globale e le difficoltà per i vaccini nell’Ue
– Che cosa sta dietro alle diverse filosofie economiche del Recovery plan per l’Italia e del piano di Biden per gli Usa
– Due crisi di governo a confronto: l’assalto a Washington e il Recovery Fund
– I tre fatti economici più importanti del 2020
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– Recovery Fund: risolti i problemi europei, ora bisogna affrontare quelli interni
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Le banche centrali possono andare in perdita? Cosa ne conseguirebbe? di Giampaolo Galli e Giulio Gottardo, Ocpi, 19 marzo 2021

Dato che i tassi d’interesse sui titoli di Stato di molti paesi sono diventati negativi, ci si potrebbe chiedere se è possibile che la BCE o qualche banca centrale nazionale registrino delle perdite. Anche se astrattamente possibile, questo in pratica è molto improbabile. In ogni caso, qualora accadesse, le banche centrali potrebbero facilmente far fronte alle perdite, perché hanno accumulato enormi riserve proprio per far fronte a eventi avversi.

Negli ultimi anni, la BCE e le banche centrali nazionali dell’Eurozona hanno generato utili molto elevati che, al netto degli accantonamenti previsti, sono stati girati agli Stati Membri. Ad esempio, nel 2019, la Banca d’Italia ha registrato un utile di oltre 8,2 miliardi di euro, di cui 7,8 miliardi sono stati incassati – direttamente o indirettamente – dallo Stato. Dato che i tassi d’interesse sui titoli di Stato di molti paesi sono diventati negativi, ci si potrebbe chiedere se è possibile che la BCE o qualche banca centrale nazionale registrino delle perdite. Anche se astrattamente possibile, questo in pratica è molto improbabile. In ogni caso, qualora accadesse, le banche centrali potrebbero facilmente far fronte alle perdite, perché hanno accumulato enormi riserve proprio per far fronte a eventi avversi. Nell’ipotesi remota che le riserve fossero insufficienti, è consentito alle banche centrali di portare eventuali perdite agli esercizi successivi. In questo modo, le perdite possono essere appianate con gli utili futuri e non intaccano il capitale.


Interessi bassi e Quantitative Easing
Negli ultimi anni i rendimenti su molti dei titoli di Stato acquistati dalla BCE sono diventati negativi. In particolare, questo è il caso dei Bund tedeschi a 10 anni, che da ormai un anno e mezzo presentano un rendimento negativo tra il -0,6 e il -0,3 per cento (Fig. 1). Inoltre, sono ormai negativi anche i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli con scadenza 3/5 anni.

Questa circostanza può indurre chiedersi se la BCE possa registrare delle perdite e cosa ne conseguirebbe, a maggior ragione dal momento che il Sistema Europeo delle Banche Centrali (BCE + banche centrali nazionali) ha in portafoglio un’enorme quantità di titoli di Stato per via del Quantitative Easing e del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) iniziato nel marzo scorso. Prima di rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto chiarire che nell’Area Euro una situazione simile non si è mai verificata. Anzi, ad oggi le banche centrali europee hanno conseguito utili elevati. Per esempio, nel 2019, la Banca d’Italia ha registrato un utile di oltre 8,2 miliardi di euro, di cui 7,8 miliardi incassati – direttamente o indirettamente – dallo Stato.

Perché è improbabile che nell’Area Euro una banca centrale generi perdite
Come noto, tradizionalmente, le banche centrali producono utili perché all’attivo hanno attività redditizie, quali titoli di Stato e altri crediti, mentre al passivo hanno la base monetaria, il cui costo è zero (nel caso delle banconote) o molto basso (nel caso delle riserve bancarie).

Attualmente, la situazione è in parte invertita, in quanto il passivo genera utili, mentre alcune poste dell’attivo (i titoli di Stato a tassi negativi) generano perdite. Infatti, gli interessi pagati dalle banche centrali sulle riserve bancarie sono negativi (-0,5 per cento sulle riserve libere, 0 per cento sulla piccola quota di riserva obbligatoria), il che contribuisce a generare un utile.

Poiché il costo delle banconote circolanti per la banca centrale è necessariamente zero, in astratto è possibile immaginare una situazione paradossale in cui l’intero attivo genera una perdita, il cui ammontare eccede il ricavo generato dal lato del passivo con le riserve bancarie a rendimento negativo. Tuttavia, a questa situazione la banca centrale potrebbe sempre porre rimedio, ad esempio abbassando ulteriormente il tasso di interesse sulle riserve bancarie, ossia rendendolo ancora più negativo.

In pratica, è del tutto improbabile che ciò si verifichi, sia perché all’attivo delle banche centrali non ci sono solo titoli di Stato, ma anche altri titoli (obbligazioni corporate, riserve in valuta estera, crediti verso banche ecc.), sia perché molti dei titoli di Stato acquistati in passato hanno rendimenti positivi. Occorrerebbe dunque un lunghissimo periodo di tassi negativi perché si verifichi una situazione come quella appena descritta. In aggiunta, al contrario di ciò che succede per una normale istituzione creditizia, i titoli detenuti dalle banche centrali sono valutati al costo ammortizzato e non al valore di mercato, da cui consegue che eventuali fluttuazioni del loro valore non generano perdite.

Cosa succede se la BCE registra una perdita?
Detto questo, eventuali perdite a carico della BCE, in base allo Statuto della stessa banca, sarebbero innanzitutto imputate ai suoi fondi di riserva, che ammontavano a oltre 90 miliardi di euro a fine 2020. Qualora questi fondi fossero insufficienti, le perdite della BCE possono essere imputate alle banche centrali nazionali in base alla capital key, cioè in proporzione alla loro quota di partecipazione al capitale che nel caso dell’Italia è pari al 17 per cento.[1] Di conseguenza, se le riserve non fossero sufficienti, le perdite della BCE si manifesterebbero nei bilanci delle banche centrali nazionali. Lo Statuto della BCE prevede anche una procedura eccezionale di ricapitalizzazione della banca, che andrebbe concertata con il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europei. Tuttavia, l’abbondanza di riserve e la possibilità di distribuire le perdite tra le banche nazionali rendono questa previsione una cautela probabilmente ridondante anche in condizioni estremamente avverse.[2]

Cosa succede se una banca centrale nazionale registra una perdita?
Dato che le banche centrali nazionali potrebbero generare perdite indipendentemente dalla BCE e che eventuali perdite della stessa BCE potrebbero essere imputate ad esse, occorre guardare gli statuti e i bilanci di queste banche per capire come affronterebbero condizioni finanziarie deteriorate. Gli statuti delle banche centrali nazionali sono in buona parte armonizzati a livello europeo e prevedono ampie cautele per far fronte a eventuali perdite, a prescindere dal fatto che siano generate dalla BCE o meno.

Ogni anno è previsto l’accantonamento a riserva di una parte degli utili (20 per cento nel caso della Banca d’Italia), per far fronte ad eventuali perdite future. Questo accantonamento costituisce il Fondo rischi generali, che ha lo scopo specifico di fronteggiare eventuali perdite.[3] Inoltre, tutte le banche centrali hanno l’obbligo di effettuare ulteriori accantonamenti e creare riserve specifiche in funzione delle attività che svolgono e dei rischi che assumono. Infine, le banche centrali nazionali possiedono una dotazione di capitale sociale. Nel caso della Banca d’Italia, l’insieme di capitale, riserve, accantonamenti e conto di rivalutazione ammontava a 159,5 miliardi nel 2019 (Tav. 1).

Anche le altre banche centrali europee sono dotate di riserve considerevoli in rapporto al resto del loro bilancio e agli utili che normalmente generano.[4] Quindi, al momento, le banche centrali hanno una capacità di assorbimento delle perdite molto elevata. Per rendere un’idea, e ragionando per iperbole, se la Banca d’Italia detenesse l’intero debito pubblico italiano (2.600 miliardi) e questo pagasse gli stessi interessi negativi dei Bund a 10 anni (-0,3 per cento), la perdita annua generata corrisponderebbe a 7,8 miliardi, un dato inferiore al solo utile del 2019. In conclusione, prima che eventuali perdite intacchino il capitale, sarebbe necessario un cambiamento drastico delle caratteristiche del portafoglio delle banche centrali.

Detto questo, nell’ipotesi remota che le riserve fossero insufficienti, alle banche centrali è consentito portare eventuali perdite agli esercizi (anni) successivi per non intaccare il capitale. Per esempio, lo Statuto della Banca d’Italia (e delle altre banche centrali europee, BCE inclusa) prevede esplicitamente questa eventualità. In questo modo, le perdite possono essere appianate con gli utili futuri.

In base a quanto detto finora, è evidente come nell’Area Euro le banche centrali si siano dotate di strumenti statutari e di riserve sufficienti a far fronte a condizioni finanziarie molto deteriorate, anche se queste finora non si sono mai verificate. Queste cautele sono giustificate dalla possibilità che si verifichino scenari avversi in cui una banca centrale genera perdite così elevate da compromettere la sua capacità di garantire la sua indipendenza e la stabilità macroeconomica; si tratta di un’eventualità che oggi appare assai remota.[5]

[1]Si veda lo Statuto della BCE, Art. 33.2: https://www.ecb.europa.eu/ecb/pdf/orga/escbstatutes_en.pdf.

[2] Si veda lo Statuto della BCE, Art. 28.1 e Art. 41.

[3] Si veda lo Statuto della Banca d’Italia, Art. 38: https://www.bancaditalia.it/chi-siamo/funzioni-governance/disposizioni-generali/statuto.pdf.

[4] Si veda: https://www.omfif.org/2021/01/does-central-bank-capital-matter-part-2/.

[5] Si veda, per esempio: Stella P., 1997, “Do Central Banks Need Capital?”, IMF Working Paper, 97(83), https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/wp9783.pdf e Bindseil U., Manzanares A., Weller B., 2004, “The Role of Central Bank Capital Revisited”, ECB Working Papers Series, 392, https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/wp9783.pdf.

L’Italia al top per le procedure d’infrazione europee

di Giampaolo Galli, Giorgio Musso e Francesco Tucci, 12 marzo 2021, Ocpi

L’Italia si colloca oggi al primo posto per numero di casi pendenti o giudicati presso la Corte di Giustizia Europea. L’Ambiente rappresenta per l’Italia l’ambito di inadempimento più frequente. E sempre all’Ambiente si riferiscono tre procedure su sei tra quelle per cui l’Italia è stata sanzionata dalla Corte di Giustizia Europea, tra le quali risultano particolarmente rilevanti quelle relative alla presenza di discariche abusive, di cui molte con rifiuti pericolosi, e al mancato adeguamento delle reti fognarie agli standard europei. Nell’ultimo decennio, le sanzioni sono costate all’Italia 750 milioni di euro, cifra che rappresenta di gran lunga il dato più alto tra i paesi europei.

Una procedura d’infrazione è un procedimento promosso nei confronti di uno Stato membro per mancato recepimento di direttive nell’ordinamento nazionale o per violazione del diritto comunitario.[1] In questi casi l’articolo 258 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) riconosce alla Commissione Europea la possibilità di avviare una procedura che si articola in due fasi.[2]

La prima, detta “precontenziosa”, inizia con l’invio allo Stato membro di una lettera di messa in mora, nella quale la Commissione riporta le cause dell’inadempimento della normativa europea richiedendo al riguardo dei chiarimenti.[3] Se questi non sono ritenuti sufficienti, la Commissione invierà successivamente un parere motivato per formalizzare più dettagliatamente l’accusa e invitare il paese ad adottare tutte le misure necessarie per correggere il proprio comportamento.

Se lo Stato non adempie, la Commissione può portare il caso dinanzi la Corte di Giustizia Europea (di qui in avanti la “Corte”), dando avvio alla seconda fase della procedura (detta “giudiziaria”). La Corte si pronuncerà sul caso emettendo una sentenza dichiarativa che potrà rigettare o confermare l’inadempimento. In quest’ultimo caso lo Stato sarà tenuto a conformarsi alla sentenza e a porre fine all’abuso. Laddove ciò non accada, l’articolo 260 del TFUE dà la possibilità alla Commissione di adire nuovamente la Corte, richiedendo in questo caso che vengano imposte sanzioni in capo allo Stato inadempiente. Le sanzioni possono essere inoltre somministrate dalla Corte già durante il primo giudizio, purché il movente della procedura sia stato il mancato recepimento di una direttiva.[4]

Lo stato delle procedure per l’Italia e il confronto europeo
Le evidenze sulle procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia presentano alcuni elementi di preoccupazione. La Figura 1 mostra infatti l’evoluzione nel tempo del numero di procedure attive per l’Italia, confrontandola con la media dell’Unione Europea e con i principali Stati membri.[5] Emerge chiaramente come da fine 2017 il numero di procedure attive si sia assestato per l’Italia su un trend crescente, passando da 62 procedure aperte alla fine del 2017 al dato odierno di 82 (+32 per cento), che colloca l’Italia al settimo posto tra i paesi UE.[6] Tale aumento inverte una tendenza positiva che si era registrata nella prima parte dello scorso decennio. L’Italia, infatti, partendo da una situazione di ampia distanza rispetto agli altri grandi paesi europei, dal 2011 al 2017 aveva sostenuto uno sforzo rilevante di riduzione delle procedure pendenti, raggiungendo quasi la media europea alla fine del 2017.

Inoltre, non solo le procedure a carico dell’Italia hanno continuato ad aumentare a partire dal 2017, ma in un certo senso ne è aumentata anche la “gravità”. Un modo per cogliere questa caratteristica è quello di guardare al numero di procedure attive portate all’attenzione della Corte, ovvero quelle per cui è stato presentato ricorso e quelle per cui è stata emanata una sentenza (e che sono in attesa di adempimento da parte dello Stato). Sotto questo profilo, che è sicuramente il più rilevante, il confronto europeo è impietoso nei confronti dell’Italia (Figura 2). L’Italia guida la classifica con 22 procedimenti davanti a Grecia (20), Spagna (15) e Polonia (13). Francia e Germania occupano invece rispettivamente il 14esimo e il quinto posto di questa graduatoria.

Per capire come siamo arrivati a questo punto, la Figura 3 rappresenta l’evoluzione storica dei casi riguardanti l’Italia rinviati dinanzi alla Corte da parte della Commissione o conclusisi con una sentenza in attesa di adempimento (sia in primo che in secondo grado). Anche da questa figura emerge il calo nel numero di casi nella prima parte dello scorso decennio.[7] In particolare, la riduzione dal 2011 al 2016, punto di minimo della serie storica, è stata del 55 per cento. Tuttavia, a partire dal 2016 l’Italia si è ricollocata su un trend crescente, con un aumento ad oggi del 57 per cento.

Possiamo quindi dire che dal 2017 l’Italia si è collocata su un sentiero di peggioramento in termini sia della quantità che della gravità delle procedure d’infrazione.

Le materie dei casi d’infrazione
La Figura 4 mostra l’evoluzione del numero di infrazioni attive per alcune materie dal 2011 ad oggi.[8] Anche da questi dati emerge la sensibile diminuzione nel periodo 2011-2016 con riferimento a tutte le materie considerate, con percentuali di calo che vanno dal 50 per cento dei Trasporti al 90 per cento per i casi di Lavoro e Affari Sociali, quasi azzerati rispetto all’inizio dello scorso decennio. Per quanto riguarda l’Ambiente, la categoria che detiene di gran lunga il primato rispetto alle procedure aperte, il calo nel periodo 2011-2016 è stato del 60 per cento, con un passaggio da 33 casi pendenti a 13. Al contrario, a partire dalla fine del 2016 la risalita nel numero dei casi fino ad oggi è principalmente ascrivibile a Fiscalità e Dogane (+50 per cento) e Trasporti (+120 per cento), nonché ad altre categorie non rappresentate all’interno del grafico (es. Energia e Affari Interni), mentre per quanto riguarda l’Ambiente i casi sono aumentati del 30 per cento.

Alla luce dell’andamento rappresentato nella Figura 4, la Figura 5 presenta la ripartizione odierna per materia delle procedure d’infrazione pendenti a carico dell’Italia, confrontandola con la composizione relativa delle procedure aperte a livello UE.[9] In generale, le frequenze relative nel nostro paese risultano largamente in linea con quelle europee. Si noti ad esempio come la tematica ambientale sia diffusa non solo a livello italiano, così come i casi nel settore “Trasporti”. Le due categorie principali per le quali il nostro paese presenta invece una frequenza relativa maggiore rispetto al resto dell’UE sono l’area “Concorrenza e Aiuti di Stato” e l’area “Fiscalità e Dogane”.

Le sanzioni somministrate all’Italia e il confronto europeo
Sull’Italia pendono al momento sei sentenze di seconda condanna ai sensi dell’art. 260, di cui la metà relative al settore ambientale e la restante metà al mancato recupero di aiuti di Stato (Tav. 1). Nel dettaglio le sentenze riguardano:

  • il mancato recupero di aiuti di Stato concessi a favore dell’occupazione (sentenza C-496/09).[10] Si tratta di sgravi contributivi riconosciuti a favore di imprese che assumevano disoccupati con contratti di formazione e lavoro. La Commissione ne ha riconosciuto lo status di aiuto e dichiarata l’illegittimità da oltre vent’anni con la Decisione 2000/128/CE. L’Italia però non ha recuperato integralmente gli aiuti dalle imprese che ne avevano beneficiato e la Corte è dovuta intervenire con due sentenze, una di prima condanna nel 2004 e una di seconda condanna nel 2011. Il secondo intervento della Corte è stato motivato dal fatto che, nonostante la prima sentenza avesse imposto il recupero integrale dei circa 280 milioni di aiuti erogati, appena 52 erano stati fino a quel tempo recuperati.
  • il tema delle discariche abusive (sentenza C-196/13).[11] Nel 2007, durante il primo giudizio, la Corte ha constatato come in Italia fossero presenti ben 218 discariche irregolari, ossia prive delle necessarie autorizzazioni per operare in conformità con la disciplina europea sui rifiuti.[12] Al tempo della seconda sentenza, emanata nel 2014, le discariche abusive presenti in Italia erano ancora 198, delle quali 14 contenenti rifiuti pericolosi, spingendo di conseguenza la Corte a sanzionare l’Italia al pagamento di un’ammenda;
  • il settore dei rifiuti nella regione Campania, non in linea con gli standard europei per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti (C-653/13).[13] La sentenza di seconda condanna ha infatti accertato nel 2015, a cinque anni dalla prima, il perdurare dell’inadempimento.[14]
  • il mancato recupero di aiuti di Stato concessi a favore di alcune imprese di Venezia e Chioggia (C-367/14).[15] Si tratta di riduzioni e sgravi di oneri sociali che l’Italia ha accordato tra il 1995 e il 1997, e che la Commissione ha riconosciuto come aiuti in una Decisione del 1999, nella quale si richiedeva il loro recupero integrale. L’Italia non ha però dato seguito alla decisione ed è stata condannata dalla Corte in primo grado nel 2011 e in secondo nel 2015;
  • il problema delle acque reflue urbane (C-251/17).[16] Nell’ambito della prima sentenza emanata nel 2012, l’Italia è stata condannata a causa di 109 agglomerati urbani che erano sprovvisti di reti fognarie per la raccolta e il trattamento delle acque reflue conformi alla Direttiva 91/27/CEE. La sentenza di seconda condanna è invece arrivata nel 2018, poiché dei 109 agglomerati da mettere a norma ancora 74 risultavano non conformi alla disciplina europea, nonostante la prima sentenza richiedesse all’Italia di adempiere entro il 2016;
  • l’ultima sentenza, emanata un anno fa, condanna invece l’Italia per non aver recuperato integralmente gli aiuti di Stato concessi a favore di imprese alberghiere della Sardegna, pari a circa 13,7 milioni di euro (C-576/18).[17] Nella seconda sentenza di condanna la Corte ha sottolineato come una quota consistente di aiuti fosse stata effettivamente recuperata rispetto a quanto constatato nell’ambito del primo giudizio; tuttavia, la Corte ha rigettato la tesi avanzata dall’Italia secondo cui la parte di aiuti ancora non riacquistata fosse impossibile da recuperare.

Dal 2012 ad oggi, le sentenze di seconda condanna inflitte all’Italia sono costate più di 750 milioni di euro, di cui 152 versati per sanzioni forfettarie e circa 600 a titolo di penalità (Fig. 6). Nel confronto europeo siamo di gran lunga il paese che ha dovuto versare la cifra maggiore: Grecia (350 milioni), Spagna (122 milioni) e Francia (91 milioni) si collocano infatti ben distanti, rispettivamente in seconda, terza e quarta posizione.[18] Inoltre, questo dato rileva maggiormente se teniamo presente che non tutti gli Stati membri sono stati condannati al pagamento di sanzioni per sentenze di seconda condanna, ma appena 11 sono stati tenuti a farlo.

Tornando all’Italia, la Figura 7 mostra come, tra le sei complessive, le sentenze più onerose siano state quelle relative alle discariche abusive e all’emergenza rifiuti in Campania: dal 2015 ad oggi, infatti, la prima ha comportato esborsi per oltre 232 milioni, mentre la seconda per oltre 217 milioni. Sotto il profilo temporale, i pagamenti sono aumentati notevolmente a partire dal 2015 a causa dell’aumento delle sentenze a carico dell’Italia, passate da una sola nel 2014 a quattro nel 2015. Il picco è stato nel 2018 quando l’Italia ha dovuto versare 149 milioni di euro. Attualmente, i pagamenti risultano leggermente ridotti e pari a 75 milioni. Come si vede nella Figura 7, i pagamenti relativi alle singole sentenze sono stati molto variabili da un anno all’altro, per due distinte ragioni. La prima è che l’Italia non sempre paga con regolarità le penalità che deve all’Europa.[19] La seconda è che le penalità somministrate dalla Corte contemplano il più delle volte la possibilità di subire decurtazioni in base allo stato di avanzamento nell’adempimento.[20]

[1] I casi di mancato recepimento contemplano anche le mancate comunicazioni di recepimento, mentre quelli di violazione del diritto anche le erronee trasposizioni di direttive.

[2] L’inadempimento alla normativa europea di uno Stato membro può essere riscontrato autonomamente dalla Commissione o attraverso segnalazioni di terzi; in entrambi i casi la Commissione non è obbligata ad iniziare una procedura in virtù degli ampi margini di discrezionalità che gli sono riconosciuti dai Trattati.

[3] La fase precontenziosa è solitamente preceduta da tentativi di risoluzione extra-giudiziale della controversia attraverso un meccanismo di interlocuzione tra Commissione e Stato membro noto come “EU-Pilot”.

[4] L’articolo 259 del TFUE riconosce anche agli Stati membri la facoltà di avviare una procedura d’infrazione, anche se di rado i paesi hanno usufruito di tale possibilità. In questi casi la procedura rimane la stessa, salvo che lo Stato proponente dovrà in primo luogo rivolgersi alla Commissione per riconciliare la disputa attraverso un contradditorio tra le parti che terminerà nell’emissione di un parere non vincolante da parte della Commissione stessa.

[5] Il dato presentato si riferisce al totale delle procedure attive, indipendentemente dallo stadio della procedura da esse raggiunto.

[6] Le prime posizioni sono occupate da Spagna (104), Regno Unito (94) e Grecia (90), le ultime da Danimarca (29), Lituania (40) e Estonia (41).

[7] Anche se, è opportuno ricordarlo, la sentenza emessa dalla Corte ai sensi dell’art. 258 del TFUE ha esclusivamente valore dichiarativo e non comporta l’irrogazione di sanzioni.

[8] Le materie mostrate nella Figura 3 sono state selezionate sulla base della percentuale di casi della materia nel periodo considerato rispetto al totale dei casi nel periodo considerato. Sono state incluse le materie per cui tale percentuale risulta maggiore del 5 per cento.

[9] Si evidenzia come, a causa della differente fonte dei dati (Commissione Europea vs Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio) e della conseguente diversa catalogazione delle procedure, il perimetro di alcune delle categorie presentate nella Figura 4 sia marginalmente diverso rispetto a quelle della Figura 3.

[10] Si veda: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=114584&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=8605872.

[11] Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2014-12/cp140163it.pdf.

[12] Nello specifico le direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 1999/31/CE.

[13] Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2015-07/cp150086it.pdf.

[14] Nella sentenza viene inoltre sottolineato il problema delle “ecoballe”, ossia dei rifiuti storici accumulati dalla regione, al tempo pari a sei milioni di tonnellate ancora da smaltire.

[15] Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2015-09/cp150103it.pdf.

[16] Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2018-05/cp180074it.pdf.

[17] Si veda: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2020-03/cp200029it.pdf.

[18] I dati sui pagamenti effettivi nel 2020 sono disponibili per l’Italia ma non ancora per gli altri paesi europei. Pertanto, i dati sulle sanzioni corrisposte per il 2020 sono stati stimati attraverso le sentenze di condanna della Corte, ipotizzando l’assenza di eventuali deduzioni per adempimenti intermedi.

[19] È il caso, ad esempio, della sentenza del 2015 relativa al recupero degli aiuti di Stato concessi alle imprese di Venezia e Chioggia. Come si è visto la sentenza richiedeva all’Italia di corrispondere una somma forfettaria da 30 milioni (pagata regolarmente nell’anno di emanazione della sentenza) e una penalità semestrale da 12 milioni. Nel 2016 però, l’Italia non ha corrisposto nessuna delle due rate di penalità dovute, rinviandone infatti il pagamento al 2017 (anno in cui invece non è stata pagata la quarta penalità semestrale).

[20] Su questo fronte, un esempio è rappresentato dalla sentenza relativa al tema delle discariche abusive. Come visto, l’Italia era stata condannata al pagamento di una penalità semestrale da 42,8 milioni, da corrispondere per ciascun semestre di ritardo nell’esecuzione della sentenza della Corte. La stessa sentenza, tuttavia, prevedeva che la penalità si sarebbe ridotta rispettivamente di 400 mila e 200 mila euro per ogni discarica di rifiuti pericolosi e non pericolosi messa a norma durante i vari semestri. E infatti, i pagamenti sono passati dai 39,8 milioni versati nel 2015 come prima rata di penalità agli 8,6 milioni versati nel 2020 come decima rata di penalità.

Economia in Quark – Il dopo Zingaretti, il blocco delle esportazioni di vaccini e la consulenza McKinsey, 8 marzo 2021

Le vicende politiche che seguono le dimissioni di Zingaretti, la decisione di Draghi di bloccare l’esportazione di vaccini verso l’Australia e una riflessione sulla consulenza alla multinazionale McKinsey per il Recovery Fund. Ne discutono gli economisti Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Alessandro De Nicola in una nuova puntata di Economia in quark.

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– Due crisi di governo a confronto: l’assalto a Washington e il Recovery Fund
– I tre fatti economici più importanti del 2020
– Il Cashback agisce sulla nostra psicologia ma basta condoni: sono un incentivo all’evasione
– Recovery Fund: risolti i problemi europei, ora bisogna affrontare quelli interni
– Un “no” del governo sul Mes causerebbe danni a livello europeo bloccando i fondi per il Covid
– Mes: niente aiuti se l’Italia si isolasse con un nuovo veto
– Si troverà l’accordo sul Recovery Fund? Ecco gli scenari tra facce feroci di Ungheria e Polonia e debito pubblico italiano
– Secondo Sassoli il debito pubblico italiano va cancellato dall’Europa: non è il modo più intelligente per procedere
– Il resoconto dei quattro anni di Trump e cosa aspettarsi da Biden
– Gli effetti della seconda ondata: se cambiasse la solidarietà europea resteremmo in balia del mercato– Così cambiano le prospettive economiche alla luce dell’accelerazione dei contagi
– C’è una graduale ripresa dell’attività economica, ma non possiamo permetterci di sprecare le risorse europee
– Attenzione all’illusione di fare con il Recovery Fund un’indigestione di infrastrutture, ma non risolvere i problemi strutturali del Paese
– Caso Tridico-Inps: il problema è l’aumento di stipendio o la persona che lo riceve?
– È vero che ogni anno il Nord Italia ha sottratto 60 miliardi di euro al Sud?– Recovery Fund, la confusione sui numeri è grande: facciamo chiarezza su traferimenti, prestiti e chi li spenderà– Recovery Fund: la posizione dell’Italia è debole, deve impegnarsi a mettere la testa a posto per il futuro– Le anime diverse di questo governo di coalizione portano a troppi rinvii dannosi per l’Italia– Mes e ItalExit: se l’Italia non accetta l’accordo si rischia l’addio all’Ue– Il piano Colao è davvero utile o è un elenco di ovvietà? Forse prima di tutto andrebbe riformata la giustizia– Bonafede vuole riformare il Csm con la tipica ingenuità grillina, ma non risolve nulla. Servono più “laici”
– Covid-19, nonostante le enormi cifre stanziate non si eviterà la recessione
– Gli scenari economici dopo il Covid-19, quali scelte dovrà fare l’Italia?– Possiamo fidarci dell’Europa? Quali sono i rischi del Mes e cosa comporta la sorveglianza sui conti italiani– Non sappiamo ancora cosa sia il recovery fund ma l’Europa renderà sostenibile il nostro debito– Troppo debito pubblico? Stavolta la Bce che ci metterà al riparo– Il Mes non comporterà austerity, se non prendiamo quei soldi è un danno per gli italiani– Con il Mes potremmo avere finanziamenti illimitati, ma la parola Mes è tossica in Italia– Dopo lo scontro la Nord e Sud Europa, una soluzione sui Coronabond si può trovare– In momenti come questi va fatto più deficit, quando cresceremo si ridurrà il debito– L’espansione decisa dalla Bce per il Coronavirus è straordinaria ma è stato comunicato in maniera orrenda– I mercati esagerano ma l’aumento dello spread non dipende dall’epidemia italiana– Deficit pubblico mai così basso da 10 anni: “Il merito? L’aumento della pressione fiscale”– L’Europa non può uscire dalla crisi senza potere di tassazione– Il coronavirus genererà una crisi economica– Perché l’Italia non riesce a crescere?

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