Non si chiamano così, ma sono eurobonds! di Giampaolo Galli, Inpiù, 5 agosto 2020

Da almeno un decennio tutti i politici italiani chiedono gli eurobonds. Anche se non si chiamano più così – perché il termine è tossico per molti elettori del Nord Europa – ora gli eurobonds sono finalmente arrivati con il grande progetto NextGenerationEU; sul nuovo debito naturalmente, non per mutualizzare quello vecchio. Ma molti sembra non se ne siano accorti e fanno i conticini del dare/avere dell’Italia senza tenere conto della fondamentale innovazione rappresentata dal fatto che si crea debito comune europeo. Per il NextGenerationEU l’Unione si indebiterà sui mercati per 750 miliardi dei quali ben 209 destinati all’Italia. Qualcuno obietta che la maggioranza di questi fondi (129 miliardi) saranno girati all’Italia sotto forma di prestiti, senza considerare che saranno prestiti a tassi molto convenienti e soprattutto saranno prestiti stabili; anche in caso di crisi non saranno oggetto di speculazione contro l’Italia. I sovranisti puntano sulle normali emissioni di titoli (con contorno tricolore) e dimenticano questo dettaglio niente affatto irrilevante: anche gli italiani, in caso di crisi, riverserebbero i titoli sul mercato, come è sempre avvenuto in passato. Ci sono poi coloro che dicono che i trasferimenti netti non sono 80 miliardi, ma circa 50 perché prima o poi gli italiani dovranno dare il loro contributo al bilancio europeo (con circa 30 miliardi) per ripagare la componente di trasferimenti (390 miliardi) sul totale dei 750 miliardi del NextGenerationEu.

Questa contabilità del trasferimento netto è corretta ai fini del dare/avere diretto sulle nostre tasche, ma non tiene conto del fatto principale: gli 80 miliardi di debito stanno in capo all’Unione Europea, non all’Italia. E questo rende più sostenibile il debito italiano, il che influisce sulle tasche degli italiani indirettamente, ma in misura ben maggiore di quanto non faccia un trasferimento. Come ha argomentato, in molte sedi e anche su InPiù, Andrea Boitani, anche se il trasferimento netto fosse zero, un paese indebitato come l’Italia sarebbe fortemente avvantaggiato dal fatto che il debito è in capo all’Unione e non all’Italia. Anche se è vero che alla fine gli italiani dovranno pagare la loro parte del conto, per i mercati e anche per le agenzie di rating il debito dell’Unione è un onere dell’Unione, non dei singoli Stati membri. Così come un aumento del debito federale americano si ritiene che non gravi, neanche per la quota di competenza, sulle disastrate finanze dello stato del Michigan.

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