Caro Direttore
nella sua lettera pubblicata dal Corriere il 30 luglio, Giorgio La Malfa propone di fissare prioritariamente gli obiettivi di crescita per i prossimi anni e da questi derivare, a ritroso, gli obiettivi di finanza pubblica. L’argomento è che solo con una crescita più elevata si può ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil e che tale crescita richiede un aumento del deficit pubblico. Questa è peraltro l’approccio incluso nel contratto di governo: solo con un aumento del deficit si può ridurre il rapporto tra debito e Pil. Siamo naturalmente d’accordo sulla necessità di accelerare la crescita della nostra economia, nonché sul fatto che una maggiore crescita faciliterebbe la riduzione del rapporto tra debito e Pil, che è un obiettivo fondamentale per metterci al riparo da attacchi speculativi. Ma non pensiamo che questo obiettivo possa essere raggiunto attraverso un aumento del deficit. Vediamo perché.
Ammettiamo anche che l’annuncio di un maggiore deficit sia accolto bene dai mercati finanziari (senza un aumento dello spread che avrebbe un immediato effetto di freno sulla crescita), il che è molto dubbio. Il punto fondamentale è però che un aumento del deficit, se tutto va bene, aumenta il livello del Pil, ma non il suo tasso di crescita, mentre aumenta il tasso di crescita del debito in modo sostenuto.
Il lettore abbia un po’ di pazienza perché si tratta di usare un po’ di aritmetica. Aumentando il deficit (per esempio la spesa di investimenti) il livello del Pil verosimilmente aumenta, ma aumenta anche il debito, in misura corrispondente al maggior deficit. E’ possibile che l’aumento del Pil sia tale da sopravanzare quello del debito e da produrre un calo del rapporto debito/Pil. Calcolatore alla mano, e partendo dal livello attuale del rapporto tra debito e Pil, questo richiede un effetto del deficit sul Pil, il cosiddetto “moltiplicatore”, di circa 1 o più. Questo è ciò che avviene nel primo anno.
E’ però essenziale vedere cosa accade dopo. Nei periodi successivi il Pil non aumenta ulteriormente, perché il livello del Pil dipende dal livello del deficit che non cresce ulteriormente; il debito, invece, continua a crescere perché la crescita del debito dipende dal livello del deficit. Sicché il rapporto tra debito e Pil, dopo un’iniziale ed eventuale discesa, aumenta di anno in anno.
Per evitare questo esito, ci sono solo due possibilità. La prima è che il deficit cresca ulteriormente, ma questo non fa che rimandare il problema. Prima o poi il deficit deve smettere di crescere e il rapporto tra debito e Pil inizia a crescere, anzi a galoppare. La seconda è che, per qualche motivo, il maggior livello di deficit generi un aumento non solo del livello del Pil, ma anche del suo tasso di crescita di medio termine, insomma che un aumento del deficit, magari temporaneo, faccia da volano e riavvi il processo di crescita.
Qui però si va oltre gli effetti del deficit sulla domanda aggregata. Occorre affidarsi a effetti di offerta, tipo “reaganomics”. La realtà però è che questi effetti non hanno funzionato in altri paesi e non si vede perché dovrebbero funzionare da noi. Reagan tagliò le tasse per stimolare il Pil. Durante la sua presidenza il rapporto tra debito e Pil aumento di 20 punti percentuali. In generale, non conosciamo paesi che siano riusciti a ridurre il rapporto tra debito e Pil aumentano il livello del deficit. Conosciamo invece diversi paesi che hanno ridotto il rapporto per 30-60 punti percentuali di Pil riducendo il deficit: in periodi compresi tra la fine degli anni ’80 e il 2007 ci sono riusciti Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, Belgio, Canada, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna.
Due ultime chiose. Primo, se si vuole usare la leva pubblica per aumentare il Pil, il che in certe circostanze può andar bene, occorre accettare che il rapporto tra debito e Pil salga. Keynes diceva proprio questo: in certi momenti di grave crisi è necessario farlo, ma Keynes non ha mai detto che aumentando il deficit si riduce il rapporto tra debito e Pil.
Secondo, occorre certo fare il possibile per accelerare la crescita. Ma un paese con alto debito non può farlo attraverso la leva fiscale. Occorre rendere l’Italia un paese attraente per gli investimenti e più capace di esportare, attraverso una drastica riduzione della burocrazia, una giustizia civile che funzioni rapidamente, la lotta alla corruzione, e una riduzione della tassazione finanziata dal taglio di spese non prioritarie. La spesa in disavanzo l’abbiamo ampiamente sperimentata nei decenni passati e ci ha lasciato in eredità un debito pubblico enorme che pesa su di noi e sulle future generazioni. Non ci sembra proprio il caso di tornare ai vizi di un tempo. @CottarelliCPI e @GiampaoloGalli, Il Corriere della Sera, 1 agosto 2018