Una caratteristica centrale della Nota di Aggiornamento al Def (Nadef), approvata dal Consiglio dei Ministri, è che l’aggiustamento di finanza pubblica è rinviato alla prossima legislatura. Questo può essere visto come un limite perché vi è il rischio che il debito non scenda come previsto, ma può anche essere visto come un aspetto positivo perché è una scommessa a tutto campo sulla crescita.
L’ipotesi cruciale è correttamente esposta nella premessa a firma del ministro dell’Economia Daniele Franco. La politica di bilancio rimarrà espansiva (per oltre un punto di Pil) fino al 2024. Questa data è stata scelta perché solo nel 2023 il Pil supererà il livello che era stato previsto nel 2019, prima della crisi pandemica, per gli anni successivi. Solo allora inizierà un lungo cammino di rientro. Si poteva ragionare in modo diverso. Ad esempio si poteva dire che il deficit dovrebbe tornare ai livelli pre-Covid (1,5% del Pil) nel 2024. Invece si è scelto di scommettere sull’impulso iniziale alla crescita dato da una manovra espansiva, oltre che dalle cruciali riforme previste nel Pnrr.
Ciò non esime però dalla fatica del rientro previsto per gli anni successivi. La fatica può essere misurata dalla variazione del saldo primario strutturale (ossia la netto degli effetti della crescita) necessario per riportare il rapporto debito/pil ai livelli del 2019 (134,6% del Pil) entro il 2030: partendo da un deficit (primario strutturale) di 1,9% del Pil nel 2023 si dovrà arrivare a un surplus del 2% nel 2029 (scenario C a pag.91).
Si tratta di un aggiustamento di quasi 4 punti di Pil, ossia di un percorso simile a quello che l’Italia fece nella seconda metà degli Anni Novanta per entrare nella moneta unica. Tutto ciò è lasciato alla prossima legislatura, nella convinzione (speranza?) che la crescita renderà il cammino meno impervio. E nell’ipotesi che i tassi d’interesse rimangano al livello attuale e che dunque il tasso medio implicito sul debito pubblico scenda ancora, da 2,4% nel 2021 all’ 1,7% nel 2024.
Da qui al 2024, grazie alla crescita e al venir meno dei sostegni straordinari per il Covid, il rapporto debito/pil dovrebbe scendere di 10 punti, al 146,1% del Pil. Giustamente, la Nadef contiene scenari alternativi. E mostra come sia sufficiente l’aumento di solo un punto del tasso sui Btp, oppure una riduzione della crescita dal 4,6% al 3,6% in un solo anno (il 2022) per provocare un aumento, anziché una riduzione, del debito pubblico già nel 2023 e negli anni successivi.
Insomma è tutto giusto, i rischi sono ben calcolati, ma basta poco perché si creino problemi seri. La scommessa è che l’impulso iniziale alla crescita e le riforme del Pnrr possano rendere più agevole il successivo percorso di rientro dal debito. L’esito di questa scommessa lo si vedrà solo nella prossima legislatura.