Appena in tempo, sarebbe il caso di dire. «L’ultimo rapporto del Fondo Monetario al G20 dice con insistenza che è tempo che i Paesi occidentali abbandonino le politiche di bilancio iper-espansive. L’Italia è l’ultima a cogliere appieno i benefici del profluvio di aiuti degli anni della pandemia, oltre che uno dei Paese più “aiutati” in rapporto al Pil», dice Giampaolo Galli, economista di scuola Bankitalia, PhD al Mit negli anni di Draghi, poi direttore generale della Confindustria e oggi docente alla Cattolica di Milano.
«I dati appena pubblicati dall’Istat sono la miglior testimonianza dell’efficacia del sostegno all’economia e allo stesso tempo della capacità del governo Draghi nel mettere a frutto questi contributi senza scassare i conti dello Stato».
Tutto questo è finito, in singolare coincidenza, anche con la fine del governo Draghi?
«Aggiungiamo che l’inflazione ci sta dando una mano. I 14 miliardi del decreto aiuti “residuale” che il governo dimissionario si accinge ad approvare, e che si aggiungono ai 30 miliardi di ristori e contributi vari già attribuiti dal governo nel solo 2022, derivano in gran parte dalle aumentate imposte in conseguenza dell’inflazione».
Questa ce la deve spiegare.
«È semplice. Prendiamo l’Iva. Se spendo 100 pago 22 di Iva. Ma se devo comprare lo stesso bene rivalutato per l’inflazione, mettiamo che sia arrivato a 120, pago 26,4 di Iva. Lo Stato così incassa senza colpo ferire 4,4 di più. È il gioco perverso dell’inflazione: si vede subito negli incassi, più in là nelle spese: devo stare attento a non spendere subito tutto il sovrappiù altrimenti innesco una spirale senza fine».
Insomma, è qui che si vede l’azione, e la competenza, di un governo: spingere al ribasso le spese nel momento in cui le entrate sembrerebbero giustificare i migliori entusiasmi?
«Il ministro Daniele Franco lo ha scritto nella relazione al Parlamento del 26 luglio: la previsione dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche per il 2022 è inferiore di 0,8 punti di Pil rispetto alla stima programmatica del Def . L’indebitamento così risulta inferiore di 14,3 miliardi rispetto alla stima programmatica di inizio anno. E quei 14,3 miliardi ora verranno inseriti nel decreto aiuti. Non è un gioco delle tre carte: si è riusciti a risparmiare, a spendere meno del previsto, a indebitarsi di meno, infine a cogliere i benefici dell’inflazione. Non era da tutti, lo hanno fatto Draghi e i suoi ministri».
Dietro quei 400 mila posti in più del secondo trimestre c’è anche la forza dell’economia reale, o no?
«Certo, perché un’economia ben sostenuta e sapientemente aiutata, come abbiamo visto, è in grado di esprimere un potenziale di tutto rispetto. Abbiamo riconquistato le posizioni del pre-pandemia, altri ci sono riusciti prima di noi, l’importante era farcela prima che si chiudesse il rubinetto degli aiuti».
Giova ancora il fatto che il 2021 è andato molto meglio del previsto?
«Certamente. Il +4,6% certificato pochi giorni fa dall’Istat nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, meglio addirittura dei partner europei, risponde a questa logica. Un effetto-impulso tanto forte da farci addirittura affrontare caparbiamente gli effetti della guerra. Ora speriamo di consolidare questo recupero grazie al Pnrr, di cui vanno rispettate con rigore le scadenze, e di non riprendere a incespicare sui conti pubblici. Non dimentichiamoci che con un debito intorno al 150% è sempre aperto un fronte di rischio».