Per chi si sintonizza adesso, io ho sostenuto che il Pd dovrebbe stare all’opposizione (si veda qui) e Leonardo Becchetti mi ha risposto sul suo blog (si veda qui), argomentando che esiste uno scenario in cui il Pd prova a costruire un governo con M5S e ciò non solo evita disastri al Paese, ma può anche produrre delle cose buone. Nelle parole di Becchetti, ecco cosa potrebbe succedere: “Il PD prova a costruire un governo con M5S. L’asse del programma si sposta sul centrosinistra. Sui migranti non si va oltre Minniti. Si aumentano le risorse per il reddito d’inclusione. Si lavora sulla qualità della spesa pubblica con una spending review severa restando nei vincoli di bilancio (è il programma M5S). E soprattutto nessuno scenario greco e nessuna crisi finanziaria ed aumento del debito moralmente rigeneranti”.
In effetti, se si ritiene che questo sia uno scenario plausibile sarebbe difficile dire di no. Avrebbe ragione Becchetti: il Pd dovrebbe aprire al M5S. Ma quanto è plausibile questo scenario? È vero che negli ultimi mesi abbiamo visto un Di Maio in doppio petto che ha cercato il dialogo con le forze produttive e addirittura con la City di Londra, che per i militanti del M5S è il diavolo in persona. Ma la mia valutazione è che queste novità siano state accettate dal movimento nel suo insieme, dai vertici fino ai semplici militanti, più che altro come un espediente tattico per non spaventare troppo gli elettori moderati. Esse sono cioè il frutto di un calcolo politico di chi sapeva di avere la carica innovativa più forte di tutti (in fondo, i potenziali concorrenti hanno governato con Berlusconi per tanti anni) e quindi poteva permettersi il lusso di moderare i toni.
A me sembra quindi poco plausibile che il M5S si possa accontentare di mettere un po’ più di risorse sul reddito di inclusione, finanziandolo con una spending review un po’ più severa. Credo che la loro storia e la loro retorica li obblighino a disfare ciò che di buono è stato fatto fino adesso per cercare di fare davvero ciò che hanno promesso, per quello che riguarda sia il reddito di cittadinanza sia la legge Fornero. Credo anche che non faranno nessuna spending review, a parte qualche taglio ai costi della politica, che può avere un significato simbolico, ma non serve a finanziare nulla. La spending review non è nelle loro corde di populisti che hanno successo proprio perché raccolgono tutte le proteste possibili, senza preoccuparsi minimamente del principio di non contraddizione (es., non puoi decidere di fare efficienza accorpando i corpi di polizia e poi farti portatore della protesta della guardia forestale). Alla spending review rinunceranno presto, appena scopriranno che ovunque si metta mano si creano problemi sociali, piccoli o grandi che siano.
Non vedo perché dovrebbero decidere che devono essere presi sul serio i vincoli europei in materia di bilancio; da anni, demonizzano tutto ciò che è Europa e regole europee; inoltre, essi hanno una visione iper statalista e iper assistenzialista, in base alla quale lo Stato deve risolvere tutti i problemi dei cittadini, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze sul debito pubblico.
Sull’immigrazione, immagino che se facessero “solo” come Minniti perderebbero una buona parte dei consensi: la gente che li ha votati pensa che il PD abbia un qualche torbido interesse a gestire i migranti (in questa chiave, davvero oscena, è stata gestita tutta la propaganda su “mafia capitale” e sui “taxi del mare”) e si aspetta che loro ripuliscano le città da presenze considerate indesiderate. Per non parlare di vaccini, tema su cui il M5S sembra schierato contro il parere della grande maggioranza degli scienziati; della politica estera, in cui per loro vale di più il rapporto con Putin che la pur traballante solidarietà occidentale, della stessa concezione della democrazia. Quest’ultimo è forse il punto più importante: il M5S rifiuta i principi di fondo della democrazia liberale, in nome di una fumosa democrazia diretta della rete, che già oggi si è trasformata in totale assenza di democrazia all’interno del loro partito. La famosa espressione di Grillo sul Parlamento da aprire come una scatola di tonno è un’oscenità per chiunque creda nelle istituzioni democratiche e nella divisione dei poteri. Non a caso, si rifanno a Rousseau, che criticava queste istituzioni, nel nome di un infallibile e indistinta volontà del popolo sovrano.
Che dire dunque? In un ipotetico negoziato sul governo, il PD sarebbe costretto dire un’infinità di no, sulla politica economica, sulla politica industriale (chiudiamo l’Ilva, nazionalizziamo Alitalia, non facciamo il Tap e il traforo della Val di Susa?), ma anche sulla politica estera, sulla politica sanitaria ecc.
Se questo è lo scenario, a me sembra che a. il PD non riuscirebbe a impedire al governo 5S di fare grandi sciocchezze perché i 5S si trovano d’accordo con la Lega che li sosterrebbe su molti punti, a cominciare dal contrasto con l’Europa e b. è bene che gli elettori abbiano la possibilità di toccare con mano le conseguenze delle loro scelte elettorali.
Il punto b. è per me cruciale. Il dibattito pubblico in Italia è troppo deteriorato per pensare che un appello al senso di responsabilità possa cambiare qualcosa. In questi anni, nei talk show e in molti giornali oltre che sui social, sono state gettate in pasto all’opinione pubblica tonnellate di fango, per cui oggi c’è tanta gente, anche di una certa cultura, che pensa cose tremende su tutti coloro che hanno governato in questi anni: che sono asserviti alla grande finanza o alla Germania, che volevano la riforma della Costituzione perché questo era nell’interesse di qualche lobby semi segreta, che preferiscono dare i soldi alle banche anziché agli indigenti, che si esercitano a fare austerità per il gusto di far male alle persone. Cose di questo tenore si possono trovare su un blog di successo animato nientemeno che da un vice presidente emerito della Corte Costituzionale.
Per liberare il paese da queste tossine mefitiche c’è un solo modo: lasciare che i vincitori si assumano in toto la responsabilità del governo. Lasciare che siano loro a decidere di mettere i soldi pubblici in una qualche odiata banca in caso di crisi e scoprano cosa vuol dire governare e affrontare delle emergenze; lasciare che siano loro, e non un paternalistico PD, a spiegare agli elettori che le loro promesse elettorali non sono realizzabili.
Questo non significa affatto che auspico che la vicenda italiana abbia un esito greco, ossia che ci vogliano ben sei mesi di guai prima di capire che la strada è quella indicata dall’Unione Europea.
Spero che i populisti messi alla prova del governo capiscano subito che le loro promesse elettorali erano per lo più sciocchezze. Spero che lo stesso esito che ha avuto la vicenda greca, così come quella cipriota, li induca a riflettere fin da subito. Ma la cosa che può fare la differenza e indurli, forse, a propositi più ragionevoli è solo la responsabilità del governo.
Possiamo spiegare mille volte a un bambino che il fuoco scotta, ma se ne convincerà solo dopo che si sarà scottato. E a quel punto le parole non serviranno più.
Ciò detto ringrazio sinceramente Leonardo Becchetti per avermi obbligato a mettere meglio a fuoco il mio pensiero. Il confronto, in buona fede, serve anche a questo.