Secondo il Centro Studi Confindustria, l’Italia è a crescita zero e il deficit salirà al 2,4% quest’anno e al 3,5% – se non aumenta l’Iva – nel 2020. Il rapporto debito/pil in questo scenario è destinato ad aumentare, anche perché è sempre più chiaro che i famosi 18 miliardi di privatizzazioni sono una chimera. Il governo sta cercando di varare in fretta e furia un “pacchetto crescita” più “sblocca cantieri” che recupererebbe alcune delle misure abolite nella legge di bilancio (come il super ammortamento), ma nessuno crede che questi interventi possano davvero fare la differenza. Inoltre, alcune di queste misure graverebbero ulteriormente sul deficit. Il rischio di una nuova impennata dello spread è dunque molto concreto, anche se fino ad ora nei mercati ha prevalso un certo ottimismo legato – sembra – all’idea che a breve il governo andrà in crisi e dalle elezioni emergerà un governo di centrodestra forse un po’ meno eterodosso dell’attuale.
Chiedersi cosa si possa fare a questo punto è un po’ come cercare di rifare l’uovo dalla frittata, ma si può abbozzare questo ragionamento. I mercati sono forse disposti ad accettare la parte di extra deficit dovuta alla recessione. Il che significa che sul 2,4% di quest’anno non c’è da preoccuparsi eccessivamente. Per l’anno prossimo, però, è necessario che il deficit strutturale, al netto dei fattori ciclici, si riduca, anche se di poco. Ciò significa che la clausola di salvaguardia per 23 miliardi non può essere disinnescata interamente in deficit. La sostanza è che reddito di cittadinanza e quota 100 sono due robuste misure di spesa che finora non sono state finanziate perché le coperture sono prevalentemente rappresentate per il 2019 da provvedimenti una tantum o comunque temporanei e per gli anni successivi dalle clausole di salvaguardia, alle quali il governo non crede.
E’ probabile che nel Def che il governo sta approntando in questi giorni ci sia qualche generico riferimento alle due lotte canoniche, peraltro sacrosante, contro gli sprechi e contro l’evasione. Ma è da escludersi che queste siano sufficienti, anche perché non sono nelle corde dei populisti. Rimane l’ipotesi di un aumento, almeno parziale, dell’Iva. Anche l’Iva non è nelle corde dei populisti, ma ha il vantaggio di essere facile da attuare e, dato che colpisce una grande massa di consumatori, ha un costo limitato per ciascuno di essi: l’avaro di Moliere potrebbe essere di aiuto anche questa volta, come nel caso delle pensioni. La sostanza economica è che se vogliamo un welfare scandinavo, sia pure in salsa mediterranea, dobbiamo essere disposti ad accettare tasse scandinave. @giampaologalli Inpiù