Le previsioni macroeconomiche della Commissione, rese note il 14 luglio, si aprono con la seguente frase: “La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina continua a ripercuotersi negativamente sull’economia dell’UE, avviandola su un percorso di crescita più bassa e inflazione più elevata rispetto a quanto indicato nelle previsioni di primavera”.
Come si vede, i nessi fra la guerra, o meglio il nostro coinvolgimento nella guerra via sanzioni e invio di armi, e l’inflazione con conseguente erosione del potere d’acquisto e rallentamento della crescita sono dati per scontati; come se fosse ovvio che se il 24 febbraio Putin non avesse invaso l’Ucraina oppure se i paesi della Nato non avessero reagito, oggi non avremmo l’inflazione, con tutte le sue nefaste conseguenze.
Ma non è così. Come più volte segnalato dall’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica, l’inflazione aveva alzato la testa fin dalla seconda metà del 2021, quando nessuno immaginava che sarebbe scoppiata la guerra. Dal 24 febbraio, i prezzi di molte materie prime sono diminuiti e quelli che sono aumentati, essenzialmente i prezzi delle materie prime energetiche, sono aumentati meno che nel periodo pre-bellico.
I prezzi dei metalli ad esempio sono tutti molto sotto i livelli del 23 febbraio, il giorno prima dell’invasione russa. Valutate in dollari, le riduzioni sono molto rilevanti: -28% per l’alluminio, -23% per il ferro, – 26% per il rame, –16% per il piombo, -41% per lo stagno, -11% per il nickel. Di che si lamentano dunque gli imprenditori dei settori meccanici e metallurgici? La risposta è che tutte queste materie prime erano aumentate moltissimo prima della guerra. Se si fa il confronto fra il livello del 23 febbraio e quello del gennaio 2020 (ossia prima che i prezzi collassassero per effetto della pandemia) gli aumenti sono stati rispettivamente del 155% (quindi un più che raddoppio), del 101%, del 117%, del 46%, del 347% e del 94%. Ce n’è d’avanzo per mettere in serie difficoltà interi settori industriali.
Un discorso analogo vale per le principali materie prime agricole. Dal 23 febbraio a oggi il prezzo del legname è sceso del 49% (dunque si è dimezzato), quello del cotone del 17%, il frumento del 5%. Anche in questo caso gli aumenti ante guerra sono stati da capogiro: +215% (dunque più che triplicato) per il legname, +75% per il cotone, +64% per il frumento.
Il ragionamento è solo un po’ diverso per le materie prime energetiche. Il petrolio (Brent) si è mantenuto in questi mesi un po’ sopra i livelli del 23 febbraio, ma ora è sceso ed tornato circa su quel livello. Il problema è che era salito del 41% prima della guerra (da 66 a 97 dollari). Il gas è stato in questi mesi la principale fonte di preoccupazione per l’Europa, anche in relazione alla minaccia di un taglio delle forniture da parte della Russia; eppure anche in questo caso l’aumento pre-bellico è stato di gran lunga maggiore di quello successivo. Ancora all’inizio del 2020 il prezzo era di 12 euro/MWh. Il 23 febbraio era già salito a 88 (un aumento di oltre 7 volte!). Dall’inizio delle guerra si sono viste oscillazioni paurose e adesso il prezzo è schizzato sino 176. Tuttavia in media, nel periodo dal 24 febbraio a oggi, il prezzo è stato è stato di 109, con un aumento dunque del 24% che a confronto con gli aumenti precedenti appare moderato.
Che il problema non nasca con la guerra è peraltro dimostrato dal fatto che sin dal luglio del 2021 molti governi, tra cui il nostro, hanno cominciato a preoccuparsi dell’aumento della bolletta elettrica e dei carburanti e hanno assunto provvedimenti per sostenere imprese e famiglie. Il prezzo dell’energia nell’indice (europeo armonizzato) dei prezzi al consumo è salito del 23% fra il gennaio 2020 (dunque ante pandemia) e il gennaio 2022 (dunque ante guerra). Fra il gennaio e giugno (dato stimato di fonte BCE) di quest’anno, l’ulteriore incremento è stato “solo” del 17%. In conseguenza, l’indice complessivo dei prezzi al consumo europeo (armonizzato e destagionalizzato) è aumentato del 5% nei 12 mesi terminanti a gennaio 2022 e di un altro 4,2% da gennaio a giugno.
Si può sostenere che senza la guerra gli aumenti sarebbero stati temporanei o comunque più moderati? Forse, ma, alla luce dei dati che abbiamo mostrato, l’ipotesi è debole e non è facile costruire un controfattuale convincente. La cosa certa è che la guerra è un facile via d’uscita per i molti, Bce inclusa, che avevano previsto che l’inflazione fosse un fatto transitorio. Non è stato così e, con tutta evidenza, la spinta inflazionistica è precedente alla guerra ed ha altre cause.