In ottobre, la nostra inflazione al consumo ha raggiunto il 3%, con una variazione mensile di 0,7%. L’aumento dei prezzi è un fenomeno comune a tutte le economie avanzate e, anzi, in Italia è meno accentuato che in Usa (dove l’inflazione ha raggiunto il 6,2%) o in Germania (4,5%). La domanda è se ci sono motivi per preoccuparsi e se, soprattutto, può essere in vista un cambio di rotta delle banche centrali, Bce compresa, più ravvicinato di quanto non ci si potesse aspettare fino a pochi mesi fa. Ricordiamo infatti che l’aumento è molto recente: in Italia solo ad agosto si è raggiunta la soglia del 2%, il numero obiettivo (di medio termine) di Bce e Fed. I pessimisti fanno notare che il 3% è il valore più alto dal settembre 2012 e, soprattutto, che l’aumento mensile di 0,7 corrisponde a un’inflazione di 8,7% in ragione d’anno; in altre parole, se lo 0,7 si replicasse per 12 mesi, alla fine l’inflazione annua, quella a cui normalmente si guarda, arriverebbe a 8,7%. Il timore è che questi numeri si radichino nelle aspettative e inducano i sindacati a chiedere aumenti salariali rimettendo in moto quella spirale prezzi-salari che sembrava sopita da decenni. I pessimisti puntano anche il dito contro le politiche monetarie e fiscali ultra espansive ancora in corso su entrambe le sponde dell’Atlantico e anche in Giappone.
D’alto canto, gli ottimisti fanno notare due cose. La prima è che l’inflazione media sui 24 mesi è solo all’1%; il concetto di inflazione a 24 mesi ha senso per tenere conto del fatto che durante i lockdown le imprese hanno compresso i margini in misura straordinaria e ora stanno tornando alla normalità. Gli ottimisti fanno anche notare che l’inflazione ‘core’, ossia al netto di energia e alimentari, è molto bassa. In tutto questo, il dilemma delle banche centrali, soprattutto della Bce, è che se mostrassero di preoccuparsi, come un po’ dovrebbero, non farebbero altro che confermare le aspettative dei pessimisti. Di qui l’assoluta stranezza di banche centrali che per tenere bassa l’inflazione sono costrette a dar mostra di essere colombe: il contrario di ciò che hanno sempre fatto. E’ però improbabile, qualora l’inflazione non dovesse recedere rapidamente, che questo sottile gioco di aspettative possa durare più di qualche mese. E a quel punto si tornerebbe alla normalità da libro di testo: per contrastare l’inflazione ci vogliono politiche restrittive e comunque non vanno bene quelle ultra espansive.
Inflazione e il dilemma delle banche centrali
di Giampaolo Galli, Inpiù, 16 novembre 2021.
Le banche centrali devono fare le “colombe” per non alimentare aspettative inflazionistiche: ma fino a quando?
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