La riforma Fornero delle pensioni è avvenuta in un momento in cui non solo la spesa pensionistica era alta, attorno al 15% del Pil, ma soprattutto era in rapida crescita per via dei trend demografici. La riforma è riuscita a fermare la crescita e poi avviarne una graduale riduzione fino al 2018. Nel 2019 sono intervenute le misure del governo giallo-verde (in particolare quota 100; non meno importante, ma con effetti non immediati, è il blocco dell’indicizzazione dell’anzianità all’aspettativa di vita fino al 2026) che hanno generato un nuovo incremento. Nel 2020 la pandemia ha fatto schizzare il rapporto al 17%, il livello che avrebbe dovuto raggiungere fra qualche decennio per via del pensionamento della generazione del baby boom. Nella Nadef si immagina che questo rapporto possa scendere rapidamente, di circa un punto fino al 2030 per via della ripresa del Pil, per poi risalire al 17% per effetto della gobba dei baby boomers. Nel frattempo, le misure prese l’anno scorso continueranno a pesare per uno 0,2-0,3% medio, che si cumula di anno in anno ai fini del debito pubblico, perché anche se non vi sarà una proroga, lo Stato dovrà continuare a pagare coloro che sono andati in pensione con quota 100 fra il 2019 e il 2021. Non solo, bisogna tenere conto che fino ad ora solo il 60% circa degli aventi diritto a quota 100, ossia coloro che hanno maturato almeno 62 anni di età e 38 di contributi, ne hanno usufruito, segno che non è vero che ci fossero masse di elettori che non aspettavano altro. Ma tutti costoro mantengono il diritto anche dopo il 2021 e nessuna ragionevole legge glielo può togliere.
Quindi, il danno è fatto, potrebbe aggravarsi e non si può tornare indietro. Quello che si può fare è evitare di peggiorare le cose rimettendo in moto il meccanismo ascendente che prevaleva prima della riforma Fornero, il che sarebbe inevitabile se si accogliessero, come sembra nelle intenzioni della ministra Catalfo, le proposte sciagurate che vengono dai tavoli sindacali: 62 anni di età e 20 di contributi (a fronte dei 67 anni e 20 di contributi della riforma Fornero) oppure 41 anni di contributi (a fronte dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini della riforma Fornero). Vari tavoli governo-sindacati sono stati convocati da settembre ad oggi per discutere di come uscire da quota 100; per fortuna, si è parlato d’altro. Questo è un buon segno; forse nel governo, dietro le quinte, c’è qualcuno che vigila sull’equità fra le generazioni e l’integrità dei conti pubblici nel lungo periodo.