In questi giorni si svolge l’usuale visita di aggiornamento del Fondo Monetario Internazionale prevista dall’articolo IV dello statuto del Fondo. Come di consueto, i funzionari del FMI incontreranno esponenti del governo, istituzioni, esperti e parti sociali. Alla luce di alcuni sondaggi che, per quanto possa apparire strano, darebbero per vincente il Movimento 5 Stelle a un eventuale ballottaggio alle prossime elezioni politiche, mi permetterei di suggerire al FMI di incontrare esponenti del Movimento, magari dopo aver dato uno sguardo a un po’ di letteratura, tipo il libro di Casaleggio o il blog di Beppe Grillo.
Il Fondo Monetario usa spesso il termine “political uncertainty” per caratterizzare situazioni in cui l’evoluzione delle variabili politiche può avere grande influenza sulla propensione agli investimenti, sul consumo e in generale sull’andamento dell’economia. In Italia l’incertezza politica è stata un fattore cruciale almeno a partire dalla crisi del 2011. Nel 2013 il FMI parlò dell’incertezza politica in Italia come di uno dei fattori chiave che potevano condizionare in negativo l’evoluzione non solo dell’Italia, ma dell’intera economia mondiale. Il timore era ovviamente quello che un Parlamento diviso non fosse in grado di esprimere un governo capace di dominare i timori che ancora permanevano nei mercati finanziari circa la solidità dell’Italia. Da un paio d’anni a questa parte, la percezione dell’Italia è cambiata per il dinamismo del governo Renzi e la sua capacità di realizzare le riforme che sono necessarie. Naturalmente il processo riformatore è ancora in corso e c’è ancora molto da fare; giusto dunque che il FMI cerchi di capire come faremo in concreto a migliorare la burocrazia o a ridurre i tempi della giustizia. Ma è anche tempo di chiedersi come si faccia a ridurre l’incertezza politica che, con l’approssimarsi di importanti appuntamenti elettorali, è tornata ad affacciarsi in Italia. Ciò per almeno tre motivi. Perché l’incertezza di oggi ha caratteristiche di assoluta straordinarietà dato che, più dei movimenti populisti di altri paesi, il M5S è un impasto di istanze demagogiche dagli esiti del tutto imprevedibili. Perché questa incertezza condiziona la voglia di investire nell’economia reale e dunque la velocità della ripresa. Perché infine le politiche che si fanno oggi devono essere giuste per l’oggi, ma devono essere tali da assicurare che anche in futuro si facciano le politiche giuste. Di fronte a queste considerazioni penso che gli economisti, anche quelli del FMI, dovrebbero avere l’umiltà di fare un passo indietro e riconoscere che c’è un ruolo particolare della politica nella definizione delle scelte economiche. Ad esempio, in materia di regole europee sui bilanci pubblici ci deve essere un bilanciamento fra ciò che si ritiene giusto in astratto e ciò che è fattibile non solo in Italia ma in mezza Europa, alla luce del successo dei movimenti populisti. Analogamente, la generalità degli economisti concorda con la Commissione Europea sull’opportunità di spostare il peso della tassazione dal lavoro alla casa, compresa la prima casa, ma considerazioni di natura politica possono indurre a comprendere scelte diverse. In democrazia il popolo è sovrano e se vincerà il M5S ce ne faremo una ragione. Ma è bene che si cominci a ragionare, anche con il contributo analitico del FMI, su cosa succederebbe in quel caso all’Italia e all’Europa. Finora il M5S ha goduto di una condizione che potremmo definire di extraterritorialità intellettuale, un po’ per nostra pigrizia, un po’ per un atteggiamento di supponenza di economisti e commentatori in genere. Nessuno pensa che il M5S abbia alcunché di utile da dire sui problemi dell’Italia. Dunque a che serve parlarne? A che serve chiedergli come pensano di risolvere il problema del debito pubblico o l’equazione energetica dell’Italia? Non lo sanno e non riescono neanche a capire che si devono porre il problema. Peraltro, Grillo ha detto al Corriere che il compito della politica è “impedire che si facciano schifezze”. L’idea che ci siano dei problemi reali che la politica può e deve affrontare per migliorare la vita delle persone non gli passa neanche per le testa e il reddito di cittadinanza è uno specchietto per le allodole a cui non crede neanche lui. Ma i problemi ci sono, il M5S ha molti consensi ed è necessario abbandonare ogni pigrizia o supponenza per cercare di capire cosa accadrebbe se davvero vincessero loro. A scanso di equivoci, chi scrive pensa che alla fine prevarrà il buon senso come è accaduto in Francia con Marine Le Pen, ma è evidente che i mercati finanziari e gli imprenditori questo problema stanno cominciando a porselo seriamente.
Giampaolo Galli, L’Unità, 27 gennaio 2016
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