Dunque il Tesoro chiede alla Cassa Depositi e Prestiti di deliberare una distribuzione straordinaria di dividendi a valere sugli utili 2018 (2,54 miliardi): 960 milioni, di cui quasi 800 al Tesoro, che si aggiungono ai 1.550 già distribuiti. A prima vista, la cosa un po’ stupisce perché, come si sa, la Commissione non prende in considerazione le operazioni una tantum. Nel lungo processo che ha portato le regole europee ad essere meno “stupide” – e per questo più complicate – di quelle che venivano usate prima della crisi, uno dei passi avanti importanti è stato quello di considerare i deficit strutturali calcolati nettando sia dei fattori ciclici sia delle una tantum.
Ciò significa che un dividendo straordinario viene preso in considerazione se si riesce ad argomentare che esso non è affatto straordinario, ma è il primo di una sequenza di dividendi molto più alti che in passato. Questo passaggio logico forse sta nella mente di qualcuno, ma per ora non è stato esplicitato. L’amministratore delegato Fabrizio Palermo ha dichiarato che il dividendo è una prerogativa degli azionisti – e questo è ovvio – e anche che l’extra dividendo non ha un impatto sul piano industriale e questo è un po’ meno ovvio, ma forse è vero. La Cdp potrebbe infatti pagare il dividendo riducendo il conto corrente che detiene presso il Tesoro, che al 31/12/2018 ammontava a ben 156 miliardi.
Con questa operazione, il Mef prende i classici due piccioni con una fava: incassa un dividendo e riduce il debito pubblico, dal momento che, essendo Cdp esterna al perimetro delle pubbliche amministrazioni, i suoi depositi presso il Tesoro sono debito pubblico. L’altra possibilità per Cdp è di ridurre lo stock di titoli obbligazionari all’attivo che sono quasi 60 miliardi, prevalentemente sotto forma di titoli di Stato italiani. Anche in questo caso si ridurrebbe lo stock di debito pubblico del Tesoro. A pensarci, forse è questo il vero scopo dell’operazione, dal momento che la procedura comunitaria verrebbe aperta per via del debito eccessivo e non del deficit, nonché del fatto che non esiste un concetto di debito strutturale al netto delle una tantum. Formalmente, per ridurre il debito contano anche le una tantum.
Naturalmente, l’operazione non è del tutto neutra per Cdp, dato che la sua ampia liquidità, sotto forma di depositi presso il Tesoro e di titoli di Stato, è sempre stata giustificata con l’esigenza di dare al mercato le più ampie rassicurazioni circa la solidità della Cassa, specie in considerazione della natura potenzialmente volatile sia dei conti correnti sia dei buoni postali che sono redimibili a richiesta. Per altro verso, se si ritiene che i flussi di cassa siano tali da portare la liquidità a livelli di sicurezza, allora non si può che concludere che quei soldi sarebbero stati meglio impiegati per svolgere uno dei normali compiti della Cdp: ad esempio fornire credito a buon mercato, tramite le banche, alle piccole imprese. Ma si capisce che, nelle circostanze attuali, questa sia l’ultima delle preoccupazioni del governo.