La nota di aggiornamento al DEF doveva essere l’occasione per dissipare i dubbi degli investitori sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Sta diventando invece una conferma delle peggiori preoccupazioni della vigilia.
A quanto risulta, la Commissione Europea aveva accettato di aumentare il deficit del 2019 all’ 1,6%, dallo 0,8% che era stato preventivato dal precedente governo. Ciò comportava un aggiustamento strutturale di solo un decimale di punto, il minimo sindacale dato che siamo in un periodo di relativa crescita e dato che le regole prevedrebbero un aggiustamento di 0,6%. Vi era quindi un atteggiamento di grande disponibilità da parte della Commissione.
La scelta del governo è stata uno schiaffo in faccia, dato che con il deficit al 2,4% i conti pubblici peggiorano rispetto al 2018 sia al valore facciale (l’obiettivo per l’anno in corso è all’1,6%, anche se forse verrà ritoccato un po’ verso l’alto) sia in termini strutturali: invece di un miglioramento di 0,1% avremo un peggioramento stimabile nello 0,7%.
A peggiorare le cose, l’annuncio che il deficit verrà tenuto al 2,4% per tre anni. La domanda che ci si pone dunque è quando mai l’Italia porterà a termine l’aggiustamento che è necessario per collocare il rapporto debito/Pil su un sentiero discendente graduale, ma solido. Se non lo fa adesso, sarà forse costretta a farlo, sotto l’incalzare dello spread, quando la congiuntura sarà peggiore e i tassi d’interesse più alti. Ma i costi sociali di un aggiustamento siffatto sarebbero sicuramente maggiori dei costi di un aggiustamento graduale in tempi normali.
Dunque – ecco il dubbio – forse l’Italia l’aggiustamento non lo farà mai e dunque il debito pubblico non è sostenibile.
A peggiorare ulteriormente le cose, vi è l’impegno a realizzare sia pure gradualmente l’intero contratto di governo. Ma la gradualità non serve a nulla. Se il contratto costa 100 miliardi a regime, una volta realizzato esso appesantirà il deficit di 100 miliardi. Dunque il 2,4% degli anni successivi al 2019 è scritto sull’acqua: fra contratto di governo, rallentamento dell’economia e aumento dei tassi d’interesse, il deficit degli anni successivi è destinato a salire ben oltre il 2,4%. Se a questo aggiungiamo l’esautoramento di fatto del Ministro Tria, non stupisce la reazione dei mercati. Giampaolo Galli
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