La strategia di fondo c’è. Le coperture pure. La scommessa anche. Il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale delle riforme quest’anno cambiano verso e provano ad imprimere una diversa direzione alla politica economica italiana. Riservando così un assaggio in salsa comunitaria a quello che potrebbe essere il semestre di presidenza italiana dell’Ue.
L’aver ricomposto lo iato tra il rigore dei conti e l’impulso alla crescita e sanato la cesura tra la spesa pubblica e le tasse, con quest’ultime condannate nell’ultimo ventennio ad inseguire la prima, rappresenta la novità più evidente messa in campo dal duo Renzi-Padoan. E, questo, seppure qualche criticità sia insita, per alcuni, nelle coperture indicate, che dovranno essere verificate nel decreto sul taglio delle tasse il cui varo è stato programmato da Renzi per venerdì 18 aprile.
A ballare, più che i tagli di spesa considerati la vera rivoluzione della nuova stagione di bilancio, sono i 2,2 miliardi di euro che dovrebbero arrivare da due misure che, così come sono state annunciate, appaiono due una tantum. L’aumento del gettito Iva per 1,2 miliardi derivante dal pagamento dei debiti della pubblica amministrazione che potrebbe essere già stato scontato dalle imprese (lo scorso anno, a fronte di 33 miliardi di debiti restituiti, c’è stata una contrazione del gettito Iva di 9 miliardi, ndr).
E l’aumento dell’aliquota dal 12% al 26% dell’imposta sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia che dovrebbe produrre un gettito di 1 miliardo ma limitatamente all’anno in corso. Una misura che ha scatenato la reazione delle banche pronte a valutare il ricorso una volta vista la stesura della norma. Al punto che c’è chi ipotizza che, essendo la rivalutazione su base volontaria e non essendo utilizzabile né ai fini contabili per quest’anno né per quelli patrimoniali, possa non essere conveniente farla.
In ogni caso dal Fondo monetario è arrivato un primo giudizio positivo per il Def che «si muove nella giusta direzione»: anche se l’Italia dovrebbe continuare a fare progressi verso il suo obiettivo di pareggio strutturale, secondo gli economisti del Fondo la riduzione della spesa e le riforme strutturali sono apprezzabili. Abbiamo chiesto ad alcuni economisti come giudicano Def e Pnr.
Per Giacomo Vaciago sarebbe stato «difficile fare meglio perché se si confronta il Def con quelli degli ultimi anni si nota come sia il primo che dà segnali positivi. È il primo in cui si vede il sole». Certo, spiega l’economista, il disegno si avvantaggia «di un migliore quadro economico in Europa e nel mondo, oltre che di una ripresa con i tassi più bassi dell’ultimo secolo». Se non c’è molta novità nelle promesse, il cambiamento per Vaciago è che Padoan prova a realizzare ciò che fino a qualche mese fa chiedeva di fare all’Italia. «L’innovazione è che per la prima volta non è la spesa a crescere e a finanziarsi con le imposte, quanto piuttosto il contrario: il taglio delle imposte si finanzia con riduzioni di spesa», senza contare che – nel messaggio che si toglie a chi ha avuto per dare agli altri – «si identifica la maggioranza degli italiani».
Se sulle banche per Vaciago si è utilizzato quel segnale di cambiamento adoperato già per le auto blu, per Paolo Onofri «il Def è il massimo che si poteva fare, dato il contesto». Non solo perché, spiega Onofri, tende a creare un clima più favorevole ai consumi delle famiglie ma anche perché in tema di spesa pubblica si è trovato il coraggio di mettere subito gli 80 euro in busta paga anche se i maggiori risparmi di spesa si avranno a fine anno.
Se Onofri si spinge a sostenere che si poteva addirittura osare di più, usando lo spazio dal 2,6% al 3% anche se «non in questa fase», per Giampaolo Galli si è operata una scelta giusta per un progetto di bilancio pluriennale in linea con le regole europee. «La questione chiave delle coperture – spiega Galli – si capirà nel giro di pochi giorni perché il Def non dà indicazioni dettagliate in merito. È cruciale che questa operazione abbia successo e io me lo auguro perché oggi l’Italia, complice anche il miglioramento congiunturale dell’eurozona, gode di un’ampia apertura di credito da parte dei mercati che è stata tanto ampia quanto repentina potrebbe essere l’uscita in caso di insuccesso». Detto questo, per Galli l’operazione messa in piedi dal premier e dal ministro Padoan «è la più difficile mai tentata prima in Italia ma anche forte e concentrata nel tempo» sebbene occorrerà vedere se nel decreto pluriennale alcune una tantum per il 2014 si trasformeranno in misure permanenti negli anni successivi.
Se per Natale D’Amico occorrerà verificare nel concreto l’atteggiamento europeo anche alla luce degli ultimi rilievi della Commissione, che riguardano l’andamento del debito in coerenza con il percorso di riduzione e il calo dello 0,5% annuo dell’indebitamento strutturale, Nicola Rossi definice «molto corretta» l’imposta del Def che ha il merito di coprire in larga misura con tagli di spesa la riduzione delle tasse. «È una scelta ragionevole e sensata», che si somma secondo l’economista al programma pluriennale di privatizzazioni e agli interventi sul mercato del lavoro con i quali il governo si è incamminato lungo una «strada coraggiosa».
Per Rossi, in ogni caso, perché la strada sia credibile al punto da rimodulare le aspettative di molti, occorre che nel decreto del 18 i tagli di spesa non riguardino solo il 2014 ma l’intero triennio: «Non solo 4,5 miliardi di tagli di spesa ma tutti e 32 i miliardi. Se così fosse saremmo in presenza di una piccola rivoluzione».
@raffacascioli
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