Il catalogo del ministro Tria, Inpiù, 17 luglio 2018

Il brutto episodio di domenica in cui Di Maio e Tria hanno scaricato  sull’Inps la responsabilità degli 8.000 disoccupati che sono comparsi nella relazione tecnica del decreto dignità va letto alla luce di due considerazioni. La prima è che in questo modo Tria spera di mettere in sicurezza il Ragioniere dello Stato, di cui il Paese ha assolutamente bisogno. La seconda è che nella maggioranza non sono sfuggite le cose che lo stesso Tria ha detto giovedì scorso a margine della riunione dell’Ecofin.  Se la maggioranza vuole attuare il suo (costosissimo) programma – egli ha affermato – deve essere disposta a mettere in discussione le misure attuate dai precedenti governi.

La mossa può non piacere a chi pensa che non si dovrebbe cambiare tutto a ogni cambio di governo, ma, nelle circostanze date, è intelligente, perché chiarisce che il “cambiamento” di cui è portatore questo governo non sta nell’idea (che “ci porterebbe al default”) di portare il deficit al 5% (50 miliardi in più di oggi), ma nel cambiare la composizione del bilancio.

Quali misure si possono dunque abolire fra quelle introdotte negli ultimi anni? Sicuramente si può abolire il bonus da 80 euro che, assieme al bonus bebè, costa all’erario circa 10 miliardi all’anno, anche se ci sarà una dura levata di scudi dei sindacati. Gli altri bonus di Renzi (diciottenni e insegnanti) valgono poco e sul primo di essi (forse quello che è stato oggetto delle critiche più aspre) il Ministro della Cultura ha già detto che intende renderlo strutturale(!).

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Le altre principali misure che pesano sul bilancio, oltre agli stanziamenti per il pubblico impiego e per la scuola, sono i famigerati “regali” alle imprese, che consistono quasi tutti in riduzioni d’imposte, ossia: l’abolizione dell’Irap lavoro (4 miliardi), la riduzione dell’Ires (4 miliardi), super e iper ammortamento (2 miliardi, non acquisiti al bilancio perché si tratta di misure congiunturali), il credito d’imposta R&S (1 miliardo), l’IRI, ossia la flat tax per le piccole imprese (2 miliardi). Infine ci sono le misure a favore delle persone fisiche, le principali delle quali sono: l’abolizione dell’Imu prima casa (3,5 miliardi), la detassazione dei premi di produttività (1 miliardo), le misure pensionistiche (3 miliardi), quelle per il contrasto alla povertà (2 miliardi), ecobonus e altre detrazioni per la casa (1,5 miliardi).

Si aggiunga che gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato sono scaduti e dunque non stanno più nel bilancio così come non stanno più del bilancio gli aiuti alle banche che avevano natura di una tantum. Questo è il catalogo dunque. A settembre dovranno scegliere ed è ovvio che scegliere sarà tutt’altro che facile: si scoprirà allora che populista non sempre è sinonimo di popolare.       @giampaologalli        Inpiù, 17 luglio 2018

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