Non era mai successo che esponenti del governo in carica annunciassero l’imminenza di una crisi finanziaria e che lo facessero ripetutamente e con tanta insistenza. L’ultima uscita è stata quella Di Maio per il quale l’autunno sarà caldo, anzi caldissimo.
Dichiarazioni di questo tenore, che si inseriscono nel
contesto di un conflitto aperto con l’Unione Europea sul tema dell’immigrazione, rendono una crisi ancora più probabile. Se il governo volesse evitarla, userebbe un linguaggio cauto, come quello del ministro dell’Economia.
Come si spiega questo comportamento, apparentemente autolesionistico?
Con tutta evidenza, più autorevoli azionisti del governo sono convinti di poter uscire vincenti da uno scontro con imercati finanziari, oltre che con Bruxelles, e stanno quindi posizionandosi nel modo migliore per affrontare lo scontro. Per fare questo, devono innanzitutto mostrare di essere consapevoli che lo scontro ci sarà e, in secondo luogo, dare a esso una motivazione credibile dal loro punto di vista. La crisi non sarà dunque causata dalla paura di milioni di risparmiatori di perdere i propri soldi, ma da un qualche complotto dei cosiddetti ‘ poteri forti’.
È accaduto spesso nella storia che governi populisti siano riusciti a cavalcare situazioni di crisi e persino a
rafforzarsi scaricando le colpe su misteriosi poteri forti o potenze straniere.
Il problema è che la crisi che si prospetta avrebbe dimensioni mai prima sperimentate sia nell’ipotesi che l’Italia rimanga nell’euro sia in quella, molto peggiore, che ne voglia uscire. Nel primo caso, l’Italia sarebbe costretta a effettuare dolorosissimi tagli di bilancio, come accaduto in Grecia, e pietire aiuti in giro per il mondo.
Nel secondo caso, accadrebbero le cose che sono ben descritte nei vari ‘piani B’ che sono stati elaborati in questi anni dai nemici dell’euro: default del debito pubblico, fallimenti a catena di banche e imprese con debiti sull’estero, inflazione, perdita di valore dei salari e dei risparmi di milioni di cittadini.
Non è chiaro come si possa pensare che questi scenari possano essere di beneficio al governo, a meno di ipotizzare improbabili limitazioni degli spazi di democrazia e libertà di espressione.
Molto probabilmente, i principali azionisti del governo non colgono le conseguenze economiche e finanziarie dello scontro a cui si stanno preparando. Pensano che, per uscirne vincitori, sia sufficiente dare la colpa della crisi alla BCE o all’Unione Europea, come è stato fatto sull’immigrazione.
Forse, alcuni di loro pensano che l’uscita dall’euro sia una via relativamente indolore e comunque meno grave di uno scenario greco. Potrà sembrare paradossale, ma il miglior consiglio che possiamo dare a costoro in questo momento è di studiarsi attentamente i famosi ‘
piani B’, in cui non a caso viene usato spesso un linguaggio quasi militare (“D Day”, “decisione a sorpresa” ecc.). Dal punto di vista di come si organizza la transizione alla nuova moneta, hanno ragione i no-euro: si tratta di un’operazione che comporta rischi altissimi e richiede una determinazione e un’
organizzazione di carattere quasi militare.
Come ha scritto qualche tempo fa Alberto Bagnai, attuale Presidente della Commissione Finanze del Senato: “Per chi sarà al governo al momento dell’
uscita, gli elettori non avranno pietà”. Sono davvero sicuri i vari leader di maggioranza di voler imboccare una strada tanto rischiosa per loro, oltre che per tutti gli italiani? @lorenzocodogno @GiampaoloGalli. Il Sole 24ore, 31/08/2018