Molti commentatori sostengono che i termini del bail-out greco siano stati troppo penalizzanti per il Paese e favorevoli ai creditori.
Sul Sole 24 Ore del 7 marzo, Luigi Zingales suggerisce che, se il default fosse stato gestito con la regia unica dell’Fmi e con un maggiore coinvolgimento dei creditori privati, la Grecia avrebbe tratto maggiori vantaggi. Come corollario di questo argomento, egli afferma che il bail-out della Grecia sia stato fatto con l’obiettivo primario di salvaguardare le banche tedesche e francesi, un ulteriore esempio dell’egoismo nord-europeo dovuto alla mancanza di un’unione politica effettiva e al prevalere degli interessi nazionali. Il salvataggio della Grecia può essere criticato per molti motivi: è avvenuto in ritardo, è stato troppo generoso con i creditori privati, ha sottovalutato l’impatto della recessione del 2011, ma la tesi di Zingales non mi convince per diverse ragioni.
Diverse dichiarazioni del governo tedesco nel 2011 suggeriscono che la Germania fosse favorevole alla penalizzazione dei creditori, e tali dichiarazioni potrebbero essere tra le cause dell’aumento degli spreads del 2011. È stata principalmente la Bce a frenare su un vasto coinvolgimento dei creditori privati, per ragioni ovvie che noi italiani abbiamo condiviso. Esso avrebbe esteso il contagio agli altri Paesi dell’Eurozona, fornendo una prova definitiva che spread elevati sui titoli dei Paesi ad alto debito sono pienamente giustificati, e rivelando che l’Ume non è altro che un accordo di cambio senza garanzie pubbliche. Il costo di avere adottato la posizione della Bce, anche se mitigata da un coinvolgimento dei privati, è il moral hazard, ma è difficile dire se si tratti di un prezzo che non valeva la pena pagare.
Si stima che i privati abbiano subito una riduzione di oltre il 60% del valore attuale dei propri crediti. Secondo Zettelmeyer, Trebesch e Gulati, il taglio (hair-cut) è il quarto più grande di sempre per Paesi a medio-reddito. Si poteva fare di più? In aggiunta al rischio contagio bisogna considerare che perdite ulteriori per i privati non avrebbero consentito di compiere la ristrutturazione in modo altrettanto veloce e consensuale e avrebbero messo in maggiore difficoltà le banche greche. Ciò avrebbe richiesto l’erogazione di maggiori risorse pubbliche difficilmente reperibili presso l’Fmi. Le istituzioni europee avrebbero dovuto intervenire in ogni caso per ricapitalizzare le banche e aiutare il governo a coprire i disavanzi correnti.
È vero che la Grecia si sarebbe avvantaggiata da un maggiore coinvolgimento dei creditori privati e una ristrutturazione più consistente del debito? Innanzitutto bisogna dire che l’abbattimento del debito greco è stato pari a circa il 50% del Pil della Grecia al 2010, un livello molto alto in rapporto ad altri episodi di ristrutturazione di debiti sovrani. Inoltre, l’effetto del coinvolgimento delle istituzioni europee e dell’Fmi, l’allungamento delle scadenze e la limitata partecipazione dei privati rende il debito ampiamente gestibile in termini d’interessi pagati (oggi pari a circa il 3% del Pil). Il fatto che esso sia ancora molto elevato non ha quindi effetti rilevanti sull’economia del Paese (le cui difficoltà dipendono da evasione fiscale, calo della domanda e molti fattori strutturali).
Il programma di consolidamento fiscale imposto dalla Troika è stato troppo severo? Certamente, dal punto di vista dei cittadini greci, ma il Paese ha continuato a registrare disavanzi fiscali elevati sul budget primario fino al 2013. Solo nel 2014 si è registrato per la prima volta un leggero avanzo primario. I sacrifici previsti sono ingenti, ma poiché la Grecia non ha accesso ai mercati, ogni piano alternativo avrebbe richiesto maggiori finanziamenti dai governi dell’Eurozona, anche quelli che subivano la recessione ed erano sottoposti a piani di rientro molto severi. Si tratta di un problema politico di non poco conto, aggravato dal fatto che la Grecia ha vissuto al di sopra dei propri mezzi da quando fa parte dell’Ume.
Il salvataggio della Troika dimostra che l’Ume non è un’area politica integrata e che prevalgono ancora gli interessi nazionali? Non è chiaro. L’Europa ha impegnato risorse pubbliche molto ingenti per il salvataggio della Grecia. Secondo diverse stime, il Paese ha avuto dall’Europa finanziamenti pari a circa il 40% del Pil (anche depurando tali risorse dalla componente servita a compensare le perdite dei creditori privati ma includendo la ricapitalizzazione delle banche greche). Queste risorse non saranno probabilmente sufficienti, e un altro bail out potrebbe essere necessario, anche in virtù dei programmi (o non programmi) ventilati dal nuovo governo greco. Ma se questo è vero, bisogna dire, allora, che nessun Paese o regione all’interno di un’area federale è mai stata finanziata in modo così massiccio senza perdere, almeno parzialmente, la sovranità sulle politiche fiscali. Il dissenso tra Syriza e l’Eurogruppo verte proprio su questo punto: è del tutto anomalo e contrario ai principi del federalismo fiscale che un governo locale pretenda di fare politiche autonome in disavanzo con il denaro dei contribuenti di altri Paesi. Chi lavora contro l’integrazione fiscale europea? Le istituzioni centrali che pretendono il rispetto delle condizionalità o i Paesi debitori che rivendicano la propria autonomia senza rinunciare agli aiuti?
Pietro Reichlin
Mercoledì 11 marzo 2015
Testo originale qui –> articolo di Pietro Reichlin su bail out Grecia