La politica del cosiddetto “Helicopter Money (HM)”, un’espressione coniata da Milton Friedman per indicare politiche di monetizzazione dei disavanzi pubblici, dopo aver fatto molto discutere in Giappone, dove è stata in parte attuata con la Abenomics, e negli Stati Uniti, sta diventando di attualità anche in Europa. La propone tra gli altri, con l’obiettivo di dare un decisivo impulso agli investimenti, l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio in un impegnativo articolo apparso su L’Avvenire del 23 marzo.
L’idea di fondo di questo approccio è che gli Stati Membri dovrebbero coordinarsi fra di loro, oltre che con l’UE e con le autorità monetarie, per realizzare investimenti – verosimilmente per lo più pubblici – finanziati con moneta ad alto potenziale. Si supererebbe così il Quantitative Easing (QE) attualmente in uso, in favore dell’HM. Fra questi due strumenti di politica macroeconomica esiste però una differenza fondamentale. Il QE è un modo di fare politica monetaria: la banca centrale crea base monetaria comprando grandi quantità di titoli, ma lasciando invariati i disavanzi pubblici. L’HM, invece, è innanzitutto una proposta di politica di bilancio – implica un aumento del disavanzo – e solo in seconda battuta una proposta di politica monetaria. È facile prevedere che molti paesi europei reagiranno a proposte di HM come hanno reagito a molte proposte di mutualizzazione dei rischi già avanzate in questi anni. Argomenterebbero, cioè, che non può esistere una politica di bilancio europea senza un’autorità europea (ad esempio, un Ministro delle Finanze) che sia pienamente legittimata sul piano democratico, in base al principio “no taxation without representation”, e abbia la responsabilità non solo del bilancio europeo, ma anche di quello degli stati membri – almeno per quanto riguarda le macro-decisioni relative ai saldi. Proposte come quella di Fazio potrebbero forse esser prese in considerazione, ma solo nel quadro di un rilevante salto in direzione di un’unione politica.
Sotto il profilo tecnico, un’ormai ampia letteratura argomenta che la monetizzazione è efficace a condizione che sia e sia percepita come permanente e non come temporanea. Come dice un po’ provocatoriamente Paul Krugman, le autorità dovrebbero diventare “credibilmente irresponsabili”. La ragione è che, con il QE, i tassi d’interesse sui titoli pubblici sono già stati portati su livelli prossimi allo zero e rappresentano quindi per gli emittenti un costo solo di poco superiore a quello della moneta: la monetizzazione costituirebbe dunque un vantaggio significativo solo se consentisse di prolungare senza limiti temporali un finanziamento a tasso zero. Se così non fosse, i titoli – emessi dagli Stati o da un’autorità europea per finanziare gli investimenti e detenuti dalla banca centrale – alla scadenza tornerebbero a essere fruttiferi, rientrando nel conto del debito pubblico. In termini di interessi su quello stesso debito, il sollievo sarebbe modesto e comunque temporaneo. Anche riguardo gli effetti sulla domanda aggregata, una monetizzazione temporanea servirebbe a poco proprio perché, in una situazione che Keynes definiva di “trappola della liquidità”, è difficile che i tassi d’interesse scendano ulteriormente.
La monetizzazione fornirebbe invece un sostegno alla domanda aggregata se fosse ritenuta permanente e riuscisse a ridurre i tassi d’interesse reali attraverso un aumento dell’inflazione attesa. Questo può essere desiderabile nelle condizioni attuali, ma chiarisce ulteriormente che l’elicottero è efficace solo se rappresenta una tassa: più precisamente una tassa differita sui detentori di moneta denominata in euro. Si torna dunque al nodo politico e al tema del bilancio comune. Come è scritto nel documento Renzi – Padoan sul futuro dell’Europa, il Ministro delle Finanze Europeo può essere utile, ma deve avere poteri politici reali e la necessaria legittimazione democratica. Anche il cosiddetto “Documento dei Cinque Presidenti” si propone come obiettivo, sia pure al termine di un percorso piuttosto tortuoso, l’unione politica. Il punto chiave è che le scelte di bilancio non sono mai pasti gratis, e comportano redistribuzioni di risorse fra ceti sociali e/o fra generazioni: dunque scelte politiche. È molto difficile compiere significativi passi avanti nella discussione sulle politiche macroeconomiche nell’Eurozona, se non si riesce a dare sostanza e credibilità alla prospettiva di un’Europa federale.