Lunedì 23 aprile molti giornali ci hanno spiegato che le diseguaglianze in Italia sono drammaticamente aumentate. Lo certificherebbe l’Eurostat. Ad esempio, il Corriere della Sera dedica quasi un’intera pagina al tema con un titolone: “La crisi allarga la forbice sociale”. Ma qual è davvero le notizia? E cosa dicono davvero i dati dell’Eurostat?
La notizia principale – come riportata dai giornali – è che il coefficiente di Gini, un indice che assume valore zero nel caso di massima uguaglianza e 100 di massima disuguaglianza, è aumentato dal 31,7% del 2010 al 33,1 del 2016. Si fa inoltre notare che la quota di reddito che va al 10% più povero della popolazione è diminuita dal 2,6% del totale nel 2008 all’1,8% nel 2016. Segue il solito quadro di lamentele e dichiarazioni allarmate sulla crisi, sul fatto che in questi anni non ci si sarebbe preoccupati della distribuzione, sui lavori poveri, sui precari e così via.
Queste “notizie” sono a dir poco una forzatura. Ciò che non viene detto è che negli anni precedenti al 2010 l’indice di Gini era diminuito, per cui il suo livello del 2016 è uguale, ad esempio, a quello del 1995 o del 2004.
Ma c’è molto di più: guardando il grafico in pagina, si vede che l’indice di Gini è una serie discontinua con dei salti fra il 2002 e io 2004 sia per l’Italia sia per gli altri principali paesi europei e risulta evidente che l’aumento che c’è stato nel periodo 2010-2016 è davvero ben poca cosa, forse inferiore all’errore statistico di misurazione di questa serie. Si vede anche un’altra cosa che hanno detto tutti i giornali e cioè che l’Italia ha una distribuzione un po’ più diseguale di Francia e Germania (ma non diversa da quella del Regno Unito). E allora sarebbe bene informare il lettore che questo livello della diseguaglianza è essenzialmente dovuto al divario territoriale del Mezzogiorno. L’indice di Gini del Centro-Nord è simile a quello della Germania, mentre è più alto nel Mezzogiorno, ma soprattutto la diseguaglianza aumenta quando si mettono insieme due realtà molto diverse come il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Quanto all’altro indicatore, è vero che la quota di reddito che è andata al 10% più povero è diminuita (leggermente), ma andrebbe spiegato che buona parte di questa nuova povertà è rappresentata dagli immigrati, che sono sì poveri rispetto agli italiani, ma, se stanno da noi, con tutta probabilità hanno migliorato la loro condizione rispetto a prima.
E andrebbe notato che la quota di reddito che va al 10% più ricco è diminuita negli ultimi anni e si colloca al 24,4%, un valore simile a quello del 2010 o del 2011.
Insomma, ormai la litania è che le diseguaglianze aumentano. Ma è una litania appunto, che non trova seri riscontri. Il che non vuol dire che la tremenda recessione degli scorsi anni non abbia prodotto ferite gravi nel nostro tessuto sociale. Ma un conto è dire che il problema dell’Italia è la diseguaglianza e tutt’altro che il problema è la bassa crescita e una produttività stagnante. Sono due analisi diverse cui corrispondono rimedi radicalmente diversi.
Giacinto della Cananea ha fatto un mezzo miracolo, espungendo le proposte più irrealistiche dal programma del M5S. Ma sarà molto più difficile espungere dal movimento la sua anima profonda che è l’assistenzialismo, secondo cui i problemi si risolvono tutti con la redistribuzione e con la spesa pubblica e non bisogna minimante preoccuparsi di come si possa creare la ricchezza che si vuole redistribuire. Le litanie sulla cattiva distribuzione del reddito non fanno altro che rafforzare questa errata convinzione.