Inseguire la crescita con un po’ di defict spending “è un’illusione da combattere”. Semmai bisogna “ridurre la pressione fiscale ma senza fare nuovo debito” e rivisitando la spesa pubblica che richiede però tempo. Quel che invece serve subito contro la recessione è un allentamento della politica monetaria: “Spero che nella Bce il termine Quantitative easing acquisisca la stessa legittimità che ha avuto negli ultimi anni presso la Fed”. Chi parla è Giampaolo Galli, neo-deputato del Pd e membro della Commissione Bilancio della Camera dopo essere stato uno degli allievo prediletti di Carlo Azeglio Ciampi in Banca d’Italia e poi direttore generale dell’Ania e della Confindustria. Anche ora che milita nel Pd e che di mestiere fa il parlamentare si capisce che si è formato alla Banca d’Italia e che le sirene della spesa facile per fare sviluppo non lo incantano. Anzi. Ecco la sua intervista a FIRSTonline.
FIRSTonline – Onorevole Galli, il “decreto del fare” ha riscosso generali apprezzamenti come primo parziale contributo al rilancio dell’economia, ma sulla sua strada non c’è chi non veda due grossi problemi: il primo, già sperimentato dal governo Monti, sta nelle difficoltà applicative del decreto e il secondo dipende dalla litigiosità della maggioranza e dal rischio che il decreto esca stravolto dall’esame del Parlamento. Qual è la sua opinione in proposito?
“La questione dell’attuazione effettiva dei provvedimenti di legge è una delle grandi questioni di questo paese. Non riguarda solo il governo Monti. Spesso si dice che l’Italia non ha fatto le riforme. Questo è vero in parte. E’ certamente vero che in generale, dopo averle approvate, non le ha attuate, per resistenze della burocrazia o di interessi particolari. Molte riforme sono state cancellate o vanificate da successivi governi, un danno importante del cosiddetto bipolarismo muscolare che abbiamo sperimentato in Italia per tanti anni. Si pensi ad esempio alla fine che hanno fatto la riforma delle pensioni del 2005 o il progetto Industria 2015 oppure ancora le tante misure di semplificazione della pubblica amministrazione. Abbiamo bisogno di condivisione e di continuità, politica e amministrativa, affinché i provvedimenti approvati vengano poi effettivamente attuati. Per questo ritengo che un governo con una maggioranza ampia può essere un’occasione. Nasce da uno stato di necessità perché non c’erano altre maggioranze possibili. Ma può diventare un’opportunità proprio perché i provvedimenti che verranno adottati avranno un consenso bipartisan. Naturalmente ciò richiede una collaborazione leale fra le principali componenti della maggioranza. Finora, pur fra difficoltà e mal di pancia, abbiamo lavorato in un clima abbastanza collaborativo”.
FIRSTonline – Al di là della buona volontà del Governo Letta, è difficile pensare che il “decreto del fare” sia qualcosa di più di un’utile manutenzione dell’economia, ma irrisolti restano i veri problemi del rilancio – e cioè come abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese rispettando il tetto del 3% del deficit – e quelli dell’agenda politica (rimodulazione dell’Imu e rinvio dell’aumento del’Iva): non crede che, a questo punto, occorrerebbe compiere un’operazione verità sulla spesa pubblica improduttiva e decidere una volta per tutte di tagliare quel che serve per raccogliere le risorse necessarie a ridurre le tasse?
“Ne sono assolutamente convinto. Al tempo stesso credo che la spesa non possa essere cancellata con un tratto di penna, come sarebbe invece necessario per eliminare l’Imu e ed evitare l’aumento dell’Iva. Occorre avviare un serio processo di re-engineering delle macchina pubblica e questo richiede tempo. In ogni caso non possiamo permetterci di non rispettare i patti europei perché la situazione finanziaria dell’Italia rimane delicata e non possiamo fare altro debito.
FIRSTonline – Recentemente l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha sostenuto al convegno di Kairos che l’Italia da sola non ce la può fare ad accelerare sulla crescita mantenendo il rigore dei conti se manca una cornice europea, una politica europea e soprattutto un bilancio europeo: Lei che cosa ne pensa e come affronterebbe la transizione in attesa di più Europa?
“Siamo tutti d’accordo che ci vuole più Europa. Sappiamo anche che questo non avverrà domani mattina. Intanto, dobbiamo combattere l’illusione che facendo un po’ di deficit spending si possano risolvere i problemi dell’Italia. I nostri guai dipendono da problemi irrisolti da molti anni. Dobbiamo lavorare per darci una burocrazia, una giustizia e infrastrutture meno indecenti. E, come ha detto Letta nel discorso della fiducia, dobbiamo ridurre la pressione fiscale senza fare nuovo debito. L’Europa ci può aiutare attraverso gli interventi della Bce, come in gran parte è già accaduto, e disegnando una prospettiva a medio termine di maggiore integrazione a cominciare dal tema caldo dell’unione bancaria”.
FIRSTonline – L’altro giorno il presidente della Bce Mario Draghi ha annunciato che la banca centrale è pronta ad adottare misure non standard, a partire dai tassi negativi, per aggredire l’emergenza economica: può essere una strada utile a normalizzare il credito e a spingerlo verso le imprese?
“Credo che a questo punto un ulteriore allentamento della politica monetaria sia necessario. Credo che ci sia poco spazio per politiche di bilancio meno restrittive, per necessità in alcuni paesi e per scelta in altri. A maggior ragione quindi la recessione va contrastata con la politica monetaria. Vanno benissimo i tassi negativi per incoraggiare le banche a mettere in circolazione la liquidità. Ancora meglio sarebbe l’acquisto diretto da parte della Bce di crediti cartolarizzati alle piccole e medie imprese. La questione è allo studio ma, come ha spiegato la Bce, vi sono difficoltà tecniche legate al fatto che, salvo in Spagna, il mercato delle cartolarizzazioni si è molto assottigliato dopo la crisi del 2008. Mi sembrano difficoltà che possono essere superate come hanno fatto negli Stati Uniti con il programma Tarp. Spero che nella BCE il termine QE (quantitative easing) acquisisca la stessa legittimità che ha avuto negli ultimi anni presso la Fed”.
FIRSTonline – Il presidente dell’Antitrust ha ricordato, nell’incontro annuale, l’urgenza che il Parlamento e il Governo approvino nuove misure di liberalizzazione soprattutto per l’Rca auto, l’energia, le banche, le poste e i trasporti: in concreto secondo Lei che cosa si può rapidamente fare sul piano della concorrenza?
“E’un fatto che in molti di questi settori i prezzi sono aumentati più della media e più che negli altri paesi dell’Euro. E questo contribuisce a spiegare la perdita di competitività dell’Italia. In una recente riunione dei capi di stato della UE Mario Draghi ha sottolineato il fatto che dall’avvio dell’euro ad oggi i salari nominali sono cresciuti del 21 per cento in Germania e del 40 per cento in Italia. Questo gap pesa sulla nostra competitività più dei differenziali di crescita della produttività. Il punto però che non può sfuggire è che in questo stesso arco di tempo i salari netti in termini reali sono rimasti pressoché costanti in Italia. Ciò è in larga parte dovuto all’inflazione da servizi. Vanno smantellate le posizioni di rendita e create le condizioni per una vera concorrenza. In molti casi, i problemi dipendono da inefficienze del settore pubblico o da errori nella regolazione settoriale. Ad esempio, nel caso delle assicurazioni, le questioni cruciali sono quella di un efficace contrasto alle frodi, che richiede un ruolo attivo delle autorità in collaborazione con i privati, e della regolazione relativa ai risarcimenti per i danni alle persone. Nel caso delle banche andrebbe eliminata la dilazione in ben diciotto anni del riconoscimento fiscale delle perdite su crediti che ha effetti prociclici e tende a far aumentare il costo del credito proprio nelle fasi di recessione”.