Il giornalista della Stampa respinto dalla convention di Ivrea perché “non gradito”. Al Foglio racconta: “È stata una scelta della Casaleggio che mostra su quante cose Di Maio non possa assolutamente decidere”
di Nicola Imberti, 9 Aprile 2018 alle 17:59
Venne il giorno in cui l’Italia a 5 Stelle, quel mondo fantastico pieno di libertà e onestà, crollò sotto il peso di un badge. Forse sarebbe meglio dire entrò in crisi. Ché di crolli, almeno per ora, non se ne vedono. Imbarazzo, però, quello sì. Perché è difficile, dopo anni passati a citare classifiche sulla libertà di stampa in Italia, spiegare cosa è successo a Ivrea al giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni (foto sotto).
La vicenda è stata ampiamente raccontata. Sabato mattina Iacoboni si è presentato a Ivrea per seguire Sum#02, seconda edizione della manifestazione organizzata dall’Associazione Gianroberto Casaleggio nata dopo la morte del guru dei 5 Stelle. All’ingresso è stato fermato: “Abbiamo ordine di non farla entrare”. Una prima spiegazione che nel corso della giornata è stata edulcorata adducendo problemi (inesistenti) di accredito non pervenuto. Prima l’inviato della Stampa, poi la direzione del quotidiano, hanno cercato ripetutamente di risolvere il tutto senza creare un caso; a fine mattinata, la direzione ha però ricevuto una spiegazione ancora più grave dalla comunicazione ufficiale del M5s: Iacoboni non può entrare perché persona non gradita a causa dei suoi articoli sul M5s e su Casaleggio.
Tra i pezzi contestati c’è soprattutto quello scritto poco prima della morte di Gianroberto nel quale si parlava della “successione dinastica”, avvenuta, tra il padre e il figlio Davide. Un successione che, come scritto dal Foglio, proprio in quei giorni si compiva attraverso la creazione dell’Associazione Rousseau.
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Quarantotto ore di “marasma” dopo, “dopo due giorni sovraccarichi di avvenimenti”, Iacoboni prova a rimettere insieme i pezzi di quello che è accaduto. “La cosa che più mi ha fatto piacere – dice parlando con Il Foglio – è che tante persone hanno scritto, hanno preso posizione su questa vicenda. Non era scontato. Ringrazio Maurizio Molinari e tutta la catena di comando della Stampa, poi tanti colleghi importanti che mi hanno manifestato vicinanza, Mario Calabresi, Gianni Riotta, Vittorio Zucconi, Lucia Annunziata, Francesca paci, Gad Lerner, Antonello Caporale del Fatto, Sebastiano Messina, Jason Horowitz del New York Times, James Politi del Financial Times, Stephanie Kirchgaessner del Guardian, mi scuso se non cito tutti ma sono stati veramente tanti. Questo è stato importante. Qui non si tratta di difesa corporativa, non c’entra niente, – anzi, ripeto, fino alla fine noi abbiamo cercato di smussare, e di entrare per non creare il caso – ma di un elemento che fa ben capire cosa sta accadendo oggi nel nostro paese”.
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“Ormai – prosegue – non siamo più di fronte ad un dibattito di idee. Non è più importante se sei di destra, liberal, radical. La battaglia, oggi, è tra un’Italia nonostante tutto civile e un’Italia disposta al populismo autoritario. Tra chi ha a cuore alcuni valori fondamentali e chi invece legittima, o nei casi peggiori aizza, odio e censura. Uno su cose così deve sapere da che parte stare”.
O magari, come accaduto in questi giorni, si può decidere di tacere, di non stare, di far finta di niente o nascondersi dietro i cavilli regolamentari. “Attorno a questa faglia che ha prodotto, come risultato più evidente, il populismo autoritario, c’è una zona grigia. Si tratta di persone che, in nome di idee che si legano, a volte, a interessi materiali, difendono questo populismo autoritario. Sono quelli che difendono la Casaleggio Associati anche dalle semplici domande, che in maniera acritica credono a tutto ciò che scrive il Fatto Quotidiano, o che attaccano anche con violenza chi si permette di avere un’altra idea. Ma anche quegli intellettuali o quei grandi giornalisti che, capendo che oggi il potere è nelle mani del M5s, preferiscono stare silenti, pesci in barile. Non disturbare il potere”.
Non pensi che in questa zona grigia, negli ultimi anni, siano finiti tanti, troppi giornalisti? “Non posso non notare che il M5s riceve un trattamento di favore dalla televisione che, insieme ai social, rappresenta il doppio asse del potere grillino. Io, ad esempio, non vado quasi mai in tv perché raramente vengo invitato, e le dico sinceramente, non mi importa. Non mi importa che invitino me. È il principio che non funziona. Non si può gridare alla censura h24 e poi censurare. In ogni caso ho ricevuto solidarietà anche da chi come l’ex direttore di Sky Tg24, Emilio Carelli (che anzi ha tentato generosamente di farmi entrare a Ivrea), o come Carlo Freccero, non è certo ostile al M5s. Li ringrazio per questo. Come ho apprezzato Peter Gomez abbia corretto una falsità che girava su di me, quella del ‘badge tarocco’”.
Altri, però, hanno cercato di giustificare quanto accaduto. Ti faccio un nome: Gianluigi Nuzzi. “Nuzzi ha sempre espresso legittimamente una vicinanza ai Casaleggio. Non credo neanche – come ritengono alcuni – che le sue parole antipatiche verso di me nascano dal fatto che la moglie di Nuzzi è in una società, Visverbi, che oltre a curare la l’ufficio stampa e gli eventi della Casaleggio Associati, gestisce, in qualità di ‘agente’, alcuni giornalisti che ruotano attorno a La7. Certo, quando gli veniva impedito di partecipare al Conclave per mancati accrediti, che celavano il fatto che era sgradito, Nuzzi scrisse, giustamente, di trasparenza e libertà di stampa. Mi limito a prendere atto che non tutti i badge sono uguali, per lui. Ma per dirla con un neologismo geniale inventato da Zucconi su Twitter, queste sono #badgianate5s. Quello che è vero è che in questi anni è diventato sempre più visibile un gruppo di interesse legato al M5s, che si è coagulato attorno a tre polarità, televisioni, alcuni giornali e la Casaleggio. Legittimo, ma giornalisticamente mi pare una cosa che va messa bene a fuoco”.
Sarà un moto di nostalgia ma anche stavolta, non appena si è cominciato a parlare di censura, c’è chi pronto ha ricordato che certe cose succedevano anche con Silvio Berlusconi. Anzi, all’epoca ci fu il famoso “Editto di Sofia”, mica un problema di badge. “Berlusconi attaccò duramente, da presidente del Consiglio, Biagi, Santoro e Luttazzi, e io – come capisce chiunque – non valgo certo quanto loro, anzi. Sbaglia, però, chi legge nella vicenda del M5s una sorta di ‘fascismo di ritorno’. Secondo me la cosa è anche peggiore, perché molto più sottile. Il M5s è un tool indifferente ai contenuti. Oggi sono contro i migranti perché sanno che in Italia i sondaggi sono contro i migranti, dovessero accorgersi un domani che non è più così, cambierebbero immediatamente posizione, anche a 180 gradi. Semmai, certe modalità sono quelle di uno squadrismo digitale. Uno scrive degli articoli sgraditi e noi gli tappiamo la bocca perché non ci piace. Quando c’era Berlusconi, qualsiasi cosa facesse, e spesso dava ampia materia, c’era una sollevazione popolare. Idem con Renzi. Al M5s invece è permesso tutto. Sono 20 anni che frequento congressi e eventi di partiti politici, è successo non poche volte che miei articoli abbiano procurato proteste di politici, credo a naso che tutti i direttori che ho avuto possano testimoniarlo. Ma una cosa così mai. Se quello che è accaduto a Ivrea fosse accaduto ad un evento organizzato da Forza Italia e Pd, sarebbero stati massacrati. C’è un salto di qualità incredibile. Queste modalità censorie sono le stesse applicate da Trump, da Putin, da Maduro. Non a caso, tutta gente molto amata dal M5s”.
Sentendo Iacoboni parlare viene da chiedersi fin dove può arrivare questo nuovo “modello”. Questo algoritmo creato dalla Casaleggio Associati che oggi rischia di ritrovarsi a Palazzo Chigi. Anche perché l’impressione è che nonostante tutto, nonostante il cortocircuito evidente creato da chi si erge paladino della libertà e poi impedisce a un giornalista di seguire un convegno, la vicenda di Iacoboni sia troppo poco per scalfire le certezze dell’elettorato grillino. “La mia impressione – prosegue – è che facciano questo perché sentono di poterlo fare, perché ormai certi di aver impermeabilizzato l’elettore alla realtà. Verificheremo se è veramente così. Ci vorrà un po’, non sarà breve. Certo, questa volta il M5s ha perso la sua prima vera battaglia di comunicazione digitale. Loro, così attenti al digital army, sono stati sconfitti sui social. L’impressione che abbiamo avuto, mentre io e la direzione del mio giornale tentavamo solo di entrare, mediare e fare il nostro lavoro, è che la testa romana e politica del Movimento, i Di Maio, i Casalino, questa volta si siano visti passare questa vicenda sulla testa: è una decisione che è stata presa ad un livello superiore (certo loro non hanno fatto granché per correggerla). Una scelta della Casaleggio che evidentemente danneggia l’immagine di Di Maio presunto moderato, e mostra su quante cose non possa assolutamente decidere”.