“Con il voto a Grillo caos garantito – L’idea di M5S è che o si fa default o ci si affretta a ristrutturare il debito” Galli Giampaolo su Europa – 17/05/2014

Fanno bene le forze europeiste, anche in questi ultimi intensi giorni di campagna elettorale, a evitare una difesa retorica dell’Europa. Il richiamo ai grandi ideali di pace dei padri fondatori è sempre valido, ma dopo cinque anni di crisi economica convince poco. Dobbiamo guardare al futuro e dire quale Europa vogliamo. Alcuni argomenti degli euroscettici sono giusti – ad esempio che l’Europa ha reagito con grande ritardo alla crisi – ed è bene riconoscerlo, altrimenti ci si mette su un terreno difficile da difendere.

Non dobbiamo però passare il segno. Se concediamo troppo agli avversari euroscettici finiamo per metterci in un vicolo cieco o addirittura per fornire munizioni alla campagna dei populisti.
Una discussione seria, non populista, sull’austerity riguarda l’intensità e il profilo temporale che deve assumere in ciascun paese la disciplina di bilancio. Non può riguardare la ratio per la quale tale disciplina è comunque necessaria per rendere sostenibile il debito pubblico.

Il presupposto logico di buona parte degli argomenti euroscettici, basato su letture superficiali di Keynes e dei suoi epigoni, è che esiste una sorta di albero della cuccagna che consentirebbe di ottenere più Pil per tutti e meno debito. L’idea è che l’austerità fa male non solo al Pil e all’occupazione, il che è verosimile, ma addirittura ai conti pubblici. E che, per converso, politiche di bilancio più espansive favorirebbero la crescita economica e con essa la riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil. Come ho argomentato in varie sedi, anche su questo giornale, questo ragionamento può valere nel brevissimo periodo e non esime un paese che volesse allentare la disciplina di bilancio dal predisporre un piano di rientro. Insomma si può fare un po’ meno austerità oggi, ma questo comporta un po’ più austerità domani.

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Su questo argomento è bene essere chiari. Se non vi è chiarezza, come non vi è per tanti elettori, allora è evidente che l’Europa appare matrigna e noi, a dir poco, masochisti perché ci sottoponiamo a una disciplina, imposta dall’Europa, che è dolorosa e addirittura controproducente.
Per Beppe Grillo il problema non si pone perché, come ha detto tante volte, «il paese è già fallito», nel senso che o si fa default o ci si affretta a ristrutturare il debito.
L’idea che i problemi dell’Italia si risolvono con la ristrutturazione del debito non è certamente un copyright di Grillo e ha, purtroppo, sostenitori autorevoli in Italia e nel mondo. Con tutta evidenza è un’ipotesi che non dispiace ad alcuni esponenti della Bundesbank, i quali non hanno fiducia nell’Italia e temono che alla fine il conto lo debbano pagare i contribuenti tedeschi, attraverso la messa in comune dei debiti o la loro monetizzazione. Grillo guida però il secondo partito italiano, il che significa che una ristrutturazione diventerebbe un rischio vero nella sciagurata ipotesi di una forte affermazione elettorale del M5S e delle altre forze populiste in Europa.

La parola ristrutturazione fa meno paura della parola default, anche se in pratica è difficile avere l’una senza l’altro. In una ipotetica ristrutturazione ordinata lo Stato obbligherebbe i detentori di titoli ad accettare una forte decurtazione del loro valore. Perché l’operazione abbia senso bisogna che tale decurtazione sia di parecchie decine di punti di Pil, diciamo fra 30 e 50 punti, in modo da abbattere in misura decisiva il rapporto debito su Pil ed evitare al Tesoro di dover fare ulteriore ricorso al mercato. Con tutta evidenza si tratterrebbe in sostanza di un’imposta straordinariamente elevata che avrebbe effetti deleteri sulla domanda interna, sul Pil e sull’occupazione.

Non si tratterebbe, come forse qualcuno sembra credere, di una liberazione dall’austerity, ma di una dose massiccia di austerity, anche perché in Italia, molto più che in Argentina e in Grecia, il risparmio sotto forma di titoli di Stato e depositi postali è diffuso fra gran parte della popolazione. Naturalmente quella della ristrutturazione ordinata è un’ipotesi teorica perché basterebbe il timore di una ristrutturazione per mettere in moto una catena di eventi – fughe di capitali e corsa agli sportelli bancari – che porterebbero a un default disordinato. Se poi a questo si aggiungesse il paventato referendum consultivo sull’euro, l’effetto caos sarebbe garantito.

Lavoriamo dunque per un’Europa migliore, ma cerchiamo di essere chiari nel rifiutare scorciatoie che a prima vista possono sembrare attraenti, ma sono in realtà rimedi peggiori del male. Parliamo di futuro e dell’Europa che vogliamo ma non rinunciamo a dire quali guai succederebbero se in Europa prevalessero le forze populiste.

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