In un articolo sul Corriere della Sera del 15 maggio, Lorenzo Bini Smaghi ha argomentato che è falsa l’affermazione secondo cui, comprando idrocarburi dalla Russia, noi contribuiamo a finanziare la guerra di Putin. L’argomento è che “qualsiasi pagamento in dollari o in euro comporta la movimentazione di un conto bancario che viene in ultima istanza regolato dalla banca centrale di riferimento” (la FED o la BCE). E se la movimentazione (pagamento o incasso di dollari) coinvolge un ente sanzionato, scatta il blocco e l’immediata segnalazione all’autorità giudiziaria, che (almeno nel caso americano) commina sanzioni miliardarie. Ciò comporta, secondo l’articolo, che nessuna banca è disposta ad accettare transazioni con enti russi sottoposti a sanzioni. L’articolo merita di essere segnalato perché scritto da una persona di riconosciuta competenza e perché contrasta con un’opinione che viene data per acquisita da tutti i più autorevoli commentatori internazionali. La maggioranza degli osservatori, le autorità UE e USA e – per quel che conta – l’autore di questo articolo ritengono che le sanzioni comminate sin qui siano efficaci, come dimostra il crollo degli indicatori congiunturali della Russia. Ma il blocco delle importazioni di gas e petrolio sarebbe una sanzione aggiuntiva, una sorta di colpo di grazia che renderebbe molto difficile alla Russia di continuare la guerra.
La questione posta da Bini Smaghi è complessa e altamente tecnica; e dunque non rimane che porsi alcune domande. 1. La BCE o l’UE sono attrezzatecome lo sono gli USA per multare le banche che usassero l’euro per transazioni con entità soggette alle sanzioni occidentali? 2. Esiste un’intelligence europea in grado di individuare con sufficiente tempestività le transazioni sospette? 3. Cosa impedisce a Gazprombank (che non è sanzionata) di usare la valuta che incassa per fare acquisti da paesi terzi, che non aderiscono alle sanzioni occidentali; cosa c’è di illecito in transazioni di questo tipo? 4. Non è forse vero che esiste un fiorente mercato nero di armi e anche di componenti di armamenti pesanti? 5. Non ci sono centri off-shore compiacenti che possono aiutare la Russia a effettuare le transazioni vietate? 6. Perché mai la Cina o l’India non dovrebbero accettare dollari o euro in cambio di armi o input utili per la costruzione di armi? 7. Cosa impedisce che la Russia possa usare i suoi poteri per indurre i dirigenti di una qualche banca di un paese neutrale a rischiare le sanzioni nei confronti della loro stessa banca? 8. E infine, se davvero la Russia non trae alcun beneficio (immediato) dall’export di idrocarburi perché continua a esportare, rispettando nella sostanza i contratti; perché non riduce le forniture per ricattarci e chiedere in cambio, ad esempio, il blocco degli aiuti militari all’Ucraina? Queste domande suggeriscono che ci possano essere espedienti per aggirare le sanzioni occidentali, anche se questi sono tutti piuttosto complessi e rischiosi. Ma non è forse vero che quando c’è di mezzo la guerra non si va per il sottile e gli espedienti sono tutti leciti?
Coi nostri acquisti di gas e petrolio stiamo finanziando la guerra di Putin?
di Giampaolo Galli, Inpiù, 18 maggio 2022.
In un recente articolo, Lorenzo Bini Smaghi ha argomentato che è falsa l’affermazione secondo cui, comprando idrocarburi dalla Russia, noi contribuiamo a finanziare la guerra di Putin. Le sanzioni glielo impedirebbero. Ma ci possano essere espedienti per aggirare le sanzioni , anche se questi sono tutti piuttosto complessi e rischiosi. Ma quando c’è di mezzo la guerra non si va per il sottile e gli espedienti sono tutti leciti.
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