Da molti anni tutte le principali banche centrali immettono nel sistema economico grandi masse di liquidità. Queste azioni hanno contribuito a mantenere su livelli molto bassi i tassi di interesse e hanno probabilmente avuto il merito di attenuare la gravità della crisi del 2008-2009 e degli anni successivi, evitando che si formassero focolai di tensione finanziaria. Non si sono però tradotte in un aumento significativo del credito erogato e della moneta detenuta dal pubblico. Il crollo del moltiplicatore monetario e di quello del credito ha quindi indotto alcuni a credere che la banca centrale possa stampare moneta per finanziare i deficit pubblici quasi senza limiti. Per affrontare questa questione, oltre che per meglio comprendere gli aspetti tecnici del meccanismo monetario, è importante cercare di dare una spiegazione del crollo del valore del moltiplicatore della base monetaria. L’analisi suggerisce che ci siano dei fattori endogeni quali il venire meno della fiducia reciproca fra banche, un fenomeno che si verificò anche dopo la crisi del 1929; ma ha pesato anche la regolazione a cominciare dai capital ratio più stringenti, che hanno impedito a molte banche di aumentare l’offerta di credito, e altre norme che hanno reso più costoso per le banche operare sull’interbancario. Il risultato è stato che, per contenere il rischio, le banche hanno preferito tenere la liquidità presso le banche centrali, anziché prestarla ad altre banche attraverso il mercato interbancario. Ciò ha comportato un enorme aumento del fabbisogno di liquidità delle banche che è stato in ampia misura soddisfatto con il QE. Infine, le politiche di QE si sono scontrate con la difficoltà di portare i tassi di interesse a livelli negativi o comunque molto bassi: in particolare, un ostacolo è rappresentato dal fatto che tassi sui depositi troppo bassi possono indurre le persone a detenere contante, il che comporta che anche i tassi sui prestiti abbiano un limite verso il basso. Questo insieme di circostanze ha consentito alle banche centrali di acquistare grandi quantità di titoli pubblici, senza provocare effetti indesiderati sui prezzi degli asset o sull’inflazione. Ma è improbabile che questa condizione si ripeta in futuro per un lungo periodo di tempo.
* Questa nota è stata ripresa da IlSole24Ore in questo articolo del 14 luglio 2020