La via maestra di tagli e riforme – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 8 settembre 2017

L’idea che il disavanzo pubblico non debba essere ridotto, ma aumentato verso il 3% e anche oltre, è ormai sostenuta dalla quasi totalità delle forze politiche.

Per alcuni il debito pubblico è un problema rimosso. Altri, più responsabili, sanno che il problema esiste e, se interrogati seriamente sul punto, esplicitano quella che si potrebbe chiamare “la teoria del denominatore”: per ridurre il rapporto debito/Pil bisogna aumentare il Pil, il denominatore, e questo risultato lo si otterrebbe aumentando, anziché riducendo il disavanzo pubblico.

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La strada rischiosa del debito pubblico – con Lorenzo Codogno, Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2017

Caro Direttore,

in risposta al commento di Giorgio La Malfa di ieri, confermiamo che la strada di un disavanzo addirittura superiore al 3% per qualche anno ci sembra assolutamente troppo rischiosa. Aiuterebbe forse a sostenere il Pil per qualche tempo, ma peggiorerebbe strutturalmente la prospettiva per i conti pubblici.

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Se il debito pubblico è rimosso dal dibattito – con Lorenzo Codogno, 29 agosto 2017, il Sole 24 Ore

La questione del debito pubblico sembra essere stata rimossa dal dibattito pubblico in misura e modi assai più profondi che in altri precedenti occasioni di avvio di campagne elettorali.

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La crescita non la si fa con il deficit: gli argomenti e il modello

A proposito di  un articolo uscito qualche tempo fa su FIRSTonline  vari lettori (un po’ increduli) mi hanno chiesto su che basi avessi fatto l’affermazione che la crescita non la si fa con il deficit e come avessi fatto le simulazioni riportate nel pezzo.

Per chiarire la faccenda riporto qui sotto l’articolo di cui si discute. E per chi vuole approfondire ulteriormente – e si diverte con l’aritmetica –  ecco i fogli Excel che ho usato per le simulazioni.

Clicca qui per il modello in excel.

Nota ai fogli Excel: nel foglio “1. Il modello” c’è il modello usato per le simulazioni; nei successivi due fogli ci sono i risultati numerici (“2. I risultati”) e il grafico (“3. Il Grafico”), rispettivamente.
È possibile  cambiare i parametri e le variabili scritti in rosso; i numeri scritti in nero  sono una conseguenza delle ipotesi, ossia sono endogeni. Nei successivi tre fogli si rifà l’esercizio, tenendo conto di import e export e cambiando alcune ipotesi.

Correzioni e commenti critici sono benvenuti. 

Ed ecco l’articolo:

La crescita economica non si fa con il deficit – FIRSTonline, 20 marzo 2016

Politiche keynesiane di sostegno della domanda aggregata hanno senso a livello europeo, ma assai meno in un paese come l’Italia che ha un elevato debito pubblico. I mercati non ce le lascerebbero fare e non avrebbero tutti torti perché, a prescindere dalla credibilità di chi governa, le politiche keynesiane hanno dei limiti ben noti. Tali limiti sussistono a prescindere dalle critiche “esterne” che si possono fare al modello keynesiano, nel senso che emergono proprio utilizzando le ipotesi del modello keynesiano, a cominciare da quella che il Pil è determinato dalla domanda aggregata in condizioni di sottoutilizzo generalizzato delle risorse. In sintesi: 1) con il deficit non si fa crescita economica e 2) un aumento del deficit non può generare un aumento del Pil tale da ridurre il rapporto debito/pil se non nel breve periodo; alla lunga il debito lo si riduce solo con appropriati avanzi primari.
Nella fig. 1 viene simulato un aumento “permanente” della spesa pubblica a partire da uno stato di sottooccupazione stabile in cui i livelli iniziali del debito e del pil sono posti uguali a 100. Inizialmente le tasse sono tali da mantenere in pareggio il bilancio. Nel periodo t=3, dopo anni di stagnazione, prevalgono gli economisti keynesiani e la spesa pubblica viene aumentata, diciamo, del 10% del Pil. Per effetto di un moltiplicatore che si assume generoso, il Pil nei primi due anni aumenta quasi del 20%. Nel terzo anno dopo lo shock, il Pil scende un po’ per via dell’effetto ritardato dell’aumento delle tasse che esso stesso ha generato e poi si stabilizza su un livello più elevato che nello scenario base, ma non cresce più. Il debito/Pil invece cresce senza limiti perché l’aumento delle entrate non può essere tale da sopravanzare la maggiore spesa (e se lo fosse il Pil tornerebbe al punto di partenza).

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