“Caro Reichlin, sciogliamo i nodi irrisolti da 40 anni” – Giampaolo Galli – l’Unità on line 12/07/2013

Mettere mano alle grandi riforme ma anche scegliere una classe dirigente in grado di stabilire le priorità.

Caro Reichlin,
mi fa piacere che tu mi abbia chiesto un parere sulla tua nota.

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“Crisi: facciamo come Ciampi torniamo alla concertazione” – Giampaolo Galli su l’Unità – 12/07/2013

Caro Reichlin,

concordo con quanto hai scritto il 27 giugno su l’Unità: la crisi italiana è arrivata al rischio di esiti catastrofici. Condivido che bisogna partire dai più deboli e dal lavoro, come luogo della relazione e luogo dell’autonomia. Lo condivido per scelta di valore e perché altrimenti il sistema politico e sociale non regge.

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Crisi e crescita: l’importanza di non abbandonare l’austerity – il commento di Giampaolo Galli su l’Unità 15/06/2013

Le critiche agli eccessi di austerità in Europa non debbono far dimenticare che per l’Italia non c’è alternativa ad una rigorosa politica di disciplina finanziaria;  né che la bassa crescita è un problema che ci trasciniamo da almeno quindici anni e la cui soluzione dipende principalmente da ciò che noi italiani sappiamo o non sappiamo fare.

Rimane di assoluta attualità l’insegnamento di Carlo Azeglio Ciampi che, da Ministro del Tesoro ai tempi in cui fummo ammessi nella Moneta Unica, impegnò l’Italia a realizzare consistenti avanzi primari, per un periodo di tempo prolungato. Non v’era, e non v’è, altro modo per piegare la dinamica del debito pubblico. Oggi siamo in una grave recessione. In astratto, ossia se non avessimo un alto debito e una bassa credibilità, sarebbe logico ridurre le tasse, andando oltre i parametri europei, assumendo nel contempo l’impegno a riportare il bilancio in pareggio negli anni successivi. Ma con tutta evidenza non ve ne sono le condizioni.

Abbiamo invece due ragioni in più per riprendere l’impegno di Ciampi o, meglio, quello del pareggio di bilancio, che nei numeri è ad esso sostanzialmente equivalente. La prima è che quell’impegno non è stato mantenuto, sicché oggi il nostro debito è tornato ai massimi degli anni novanta. La seconda è che oggi è del tutto evidente che la nostra economia non riprenderà a crescere se non sarà ripristinata in toto la fiducia dei mercati e dei risparmiatori nel debito sovrano. La mancanza di fiducia, di cui lo spread è un imperfetto e volatile termometro, pesa sull’onere del debito, sottraendo risorse ad utilizzi più efficienti, prosciuga il credito bancario, scoraggia gli investimenti e i consumi. Il ripristino della fiducia nel debito sovrano è la misura più efficace per uscire dalla crisi dell’economia reale, anche se da solo ovviamente non basta. Fa bene dunque il Ministro Saccomanni ad attenersi al mandato ricevuto dal Governo nel discorso della fiducia: riduzione della pressione fiscale, che è assolutamente necessaria, ma senza nuovo indebitamento.

E’ anche giusto chiedere, come sta facendo il governo Letta in accordo con Hollande, che l’Europa faccia molto di più per la crescita. Questa richiesta può essere efficace solo se riusciamo a fugare i timori degli elettori tedeschi e dei mercati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. In Germania gli elettori si preoccupano più del rischio di nuove tasse per far fronte ai guai dei paesi periferici dell’euro che della disoccupazione che è ai minimi storici. I tedeschi hanno fatto notevoli sacrifici negli anni scorsi per mettere i conti in ordine e uscire dalla condizione, che condividevano con l’Italia, di malato d’Europa sotto il profilo della crescita. Non capiscono per quale motivo oggi dovrebbero disperdere i sacrifici fatti, tanto più che anche in Germania, per via della crisi finanziaria globale, il debito è fortemente aumentato. Certo, come sostiene l’Economist di questa settimana, la Germania potrebbe assumere un ruolo di leadership in Europa e farsi carico dei problemi dell’intera area, in modo da far sì che in aggregato la politica di bilancio dell’eurozona sia meno dissimile da quella degli Stati Uniti oppure da quella che verosimilmente prevarrebbe in una ipotetica Europa federale. Ma, a parte la riluttanza politica della Germania post bellica ad assumere ruoli di leadership, questo richiede che gli altri paesi accettino tale ruolo e si comportino di conseguenza.

Le polemiche contro la Germania e la “cieca austerità” che essa imporrebbe all’Europa sono dunque poco utili. Distraggono l’attenzione dalle cose che dobbiamo fare a casa nostra per darci, ad esempio, una burocrazia, una giustizia e delle infrastrutture meno indecenti. Rischiano di essere molto controproducenti in una condizione nella quale i mercati non sono affatto tranquilli sulle prospettive del debito pubblico italiano. Dopo le forti prese di posizione di Draghi riguardo all’impegno della Bce a difendere l’Euro, dall’estate scorsa gli investitori sono tornati sui titoli di Stato italiani, ma per lo più in un ottica “mordi e fuggi”, pronti a scappare nel caso di pericolo. E i pericoli purtroppo non mancano. Possono venire ad esempio, da una sentenza sfavorevole della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità dell’operato della BCE oppure dall’avvio da parte della Fed  di una politica di riassorbimento dell’eccesso di liquidità in dollari. Stando alle proiezioni di quasi tutti i centri di ricerca, nel 2013 l’Italia avrà un disavanzo superiore al 3%. Qualora ciò si verificasse il problema sarà quello di gestire il rientro nella procedura d’infrazione dalla quale siamo appena usciti, in un contesto di mercato sicuramente meno favorevole di quello attuale.

E’ peraltro evidente che se si realizza uno scenario sfavorevole, la gestione dell’emergenza finirebbe per essere molto più difficile e dolorosa in un quadro segnato da tensioni politiche fra paesi europei, in particolare con la Germania. Le stesse tensioni politiche possono costituire la miccia che innesca una crisi, come spesso è successo in passato. Sotto questo profilo non possono che preoccupare i richiami ormai quasi quotidiani e sempre più severi delle autorità europee e tedesche alla disciplina di bilancio. Dobbiamo assolutamente prevenirli e l’unico modo per farlo è di approvare in toto, senza riserve mentali e artifici verbali, il programma di stabilità che l’Italia ha già sottoposto all’Unione Europea. Occorre un impegno serio e credibile di tutto il Parlamento. E occorrono comportamenti conseguenti. Si deve porre fine alla solitudine del Ministro dell’Economia che è un vizio antico della politica italiana e, a mio avviso, la cartina di tornasole della sua storica inadeguatezza. Solo così avremo qualche chance di riuscire a spostare l’asse delle politiche economiche in Europa.

Giampaolo Galli

Dichiarazione di voto d.l. sui debiti della Pubblica Amministrazione 05/06/2013

40 miliardi alle imprese: un provvedimento espansivo necessario e urgente, ma perfettibile. La stima del debito ammonta a 90 miliardi e molto ancora c’è da fare per migliorare la contabilità pubblica. Tre i successivi passi a seguito di questo decreto legge: monitorare il flusso dei pagamenti, attuare eventuali provvedimenti correttivi e un prossimo aggiornamento al documento di economia e finanza che riduca la differenza tra gli importi dovuti stimati e quelli effettivamente pagati.

Dichiarazione di voto d.l. debiti PA 5 giugno 2013

Video

Galli: Le condizioni per la ripresa – L’Unità 25/05/2013

Il conflitto fra esigenze sociali crescenti e disponibilità di risorse pubbliche è una costante in tutti i paesi. In Italia si manifesta  con grande intensità da due decenni per via dell’alto debito pubblico ed è stato spesso all’origine di tensioni sociali e crisi di governo. Ma forse mai questo conflitto si è manifestato con tanta intensità come oggi per via della gravità della crisi e per un risultato elettorale che ha premiato i partiti che promettevano drastici tagli di tasse.

Qualcuno dice che ancora una volta stiamo andando a sbattere contro un muro ben segnalato. Stando alle dichiarazioni programmatiche, nelle prossime settimane occorrerebbe trovare le risorse quantomeno per superare l’IMU, per evitare l’aumento dell’IVA, per favorire la creazione di posti di lavoro per i giovani, per rilanciare le infrastrutture, per sostenere il credito alle PMI, per prorogare le agevolazioni per l’efficienza energetica e per le ristrutturazioni edilizie.  Si tratta di non meno di dieci miliardi in sei mesi, ossia venti miliardi in un anno. Una cifra davvero enorme, da far tremare le vene. A maggior ragione se tiene conto di come è stato reperito il miliardo di euro, solo un miliardo, per rifinanziare la cassa integrazione in deroga. Si è attinto a risorse utili per il lavoro e per il futuro, come la formazione permanente e i contratti di produttività, segno non di cattiva volontà ma del fatto che non era affatto facile fare di meglio.

La cifra del governo Letta, la sua stessa ragion sociale dipenderà da come eviterà di andare a sbattere contro il muro. Forse riuscirà tener fede all’impegno assunto nel discorso della fiducia: “la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo”. Se ciò avverrà il governo avrà una mission che potrà piacere o no, ma sarà delineata con estrema chiarezza e corrisponderà alle aspettative di gran parte dell’elettorato. Una mission molto ambiziosa che forse solo un governo straordinario con una ampia maggioranza può darsi.

Anche la ragione sociale del Partito Democratico dipenderà da come si atteggerà di fronte a questa sfida del Paese, molto più che dal dibattito interno. Potrà accettare la sfida oppure atteggiarsi a difensore della spesa pubblica. Nel secondo caso, al PDL e, in parte, al M5S si schiuderanno vaste praterie per mietere consensi fra gli scontenti delle tasse. E gli esiti delle prossime elezioni, a cominciare dalle europee, saranno scontati.

Sotto il profilo politico, il punto chiave è che non vi alcun serio motivo per credere che il centro destra sia meno interessato del centro sinistra a difendere la spesa pubblica buona. Al di là delle chiacchiere da talk show, il centrodestra, se non altro per motivi di consenso, non è meno attento al welfare di quanto lo sia il centro sinistra. E il centrodestra sa bene, quanto lo sa il centro sinistra, che gli enti locali e le regioni sono in estremo affanno. Lo dimostra l’ostracismo in cui è caduto Giulio Tremonti all’interno del centro destra, in gran parte per via dei tagli che ha imposto ai suoi colleghi di governo.

Dunque, accettiamo la sfida. Cerchiamo di imporre al PDL di smettere di fare propaganda. Richiamiamolo ad un minimo di coerenza logica. Se tuona che bisogna ridurre questa o quella tassa, contribuisca con tutti noi a trovare le coperture. Si assuma con noi la responsabilità delle decisioni difficili. Forse si giungerà alla conclusione che, dopo i tagli degli anni scorsi, rimane ancora ben poco da tagliare. Questa è l’opinione di molte rispettabilissime persone, sia nel PD che nel PDL. Ma conta poco. Ciò che conta è che, se questa è la conclusione cui si deve arrivare, ad essa ci arrivino insieme tutti i partiti della maggioranza e, se possibile, l’opinione pubblica.  Altrimenti è a rischio il PD e, ancor più, é a rischio il governo.

Sappiamo che Berlusconi ha una straordinaria capacità di fare propaganda anche quando è al governo. Quante volte ha promesso di eliminare l’Irap o di dare la famosa frustata al cavallo dell’economia, salvo poi non farne nulla e addossare la colpa agli alleati o al Ministro dell’Economia. Riuscirà il PD ad ribaltare il tavolo e ad evitare di essere, per l’ennesima volta, la vittima  della campagna elettorale permanente di Berlusconi? Riusciremo ad evitare di essere quelli che impediscono al PDL di tagliare le tasse?

L’Unità 25 maggio 2013

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