Gli italiani nutrono sentimenti quanto mai ambivalenti nei confronti della Germania. Da un lato assai spesso additano questo o quell’aspetto della società tedesca come modello da imitare o comunque come esempio di buona pratica da cui trarre ispirazione. Dall’altro, imputano alla Germania varie colpe, più o meno gravi, nella gestione delle politiche economiche, in particolare da quando è scoppiata la crisi dei debiti sovrani che tanto ha pesato e sta pesando sui destini dei popoli europei in questi ultimi anni. Questa ambivalenza divide la politica italiana, al punto che la divisione fra “amici” e “avversari” della Germania è diventata una linea di separazione che taglia trasversalmente gli schieramenti ed è forse più importante delle tradizionali faglie ideologiche della politica italiana ed europea. Una delle accuse più pesanti che si muovono vicendevolmente i politici è di agire secondo i desiderata della Germania o peggio ancora e, impropriamente personalizzando, della sua “cancelliera di ferro”. Qualche intellettuale, anche di notevole fama, ha resuscitato fantasmi del passato e narra di immaginari piani tedeschi volti a dominare l’Europa attraverso la gestione delle politiche economiche dell’eurozona.
Leggi tutto ““Germania – Italia: un rapporto difficile?” Post fazione di Giampaolo Galli alla ricerca: Educare alla cittadinanza, al lavoro ed all’innovazione – Il modello tedesco e le proposte per l’Italia (a cura di Associazione Treellle e Fondazione Rocca)”Categoria: Articoli e interviste
“Innovare imparando da Berlino” – Giampaolo Galli su Il Sole 24 Ore – 21/01/2015
Gli italiani nutrono sentimenti quanto mai ambivalenti nei confronti della Germania. Da un lato assai spesso additano questo o quell’aspetto della società tedesca come modello da imitare. Dall’altro, imputano alla Germania varie colpe, più o meno gravi, specie nella gestione delle politiche economiche, in particolare da quando è scoppiata la crisi dei debiti sovrani all’interno dell’Eurozona.
Leggi tutto ““Innovare imparando da Berlino” – Giampaolo Galli su Il Sole 24 Ore – 21/01/2015″“Le riforme istituzionali sono fondamentali per la crescita” – estratto dall’intervento di Giampaolo Galli all’assemblea del Gruppo PD alla Camera – 7/01/2015
Ritengo che non abbia fondamento la critica secondo cui staremmo sprecando tempo e capitale politico occupandoci di riforme costituzionali ed elettorali, invece di dedicarci “all’unica cosa che interessa la gente” e cioè la crisi economica.
Innanzitutto è difficile, almeno per me, immaginare cosa di più si potesse fare contro la crisi: il bonus di 80 euro, l’azzeramento dell’Irap lavoro, l’azzeramento dei contributi per i neoassunti nel 2015, la riforma dell’articolo 18 sono i principali provvedimenti realizzati. Sono quanto di meglio gli economisti e gli stessi imprenditori potessero immaginare, almeno dati i vincoli dettati dal combinato disposto di un alto debito pubblico e delle regole europee. A questi provvedimenti vanno aggiunte le riforme strutturali in itinere – più complesse, ma non meno importanti – su fisco, scuola, PA, giustizia.
Il secondo, fondamentale motivo che mi induce a ritenere infondata questa critica è che le istituzioni politiche sono decisive per la crescita. Ne sono consapevoli gli studiosi, le forze sociali, gli imprenditori, i mercati. C’è una sterminata letteratura economica su questo punto. Testi con titoli come “Institutions as a fundamental cause of long-run growth”, oppure: “Why nations fail?” sono ormai letture diffuse nei corsi base di economia. Le istituzioni interagiscono con la cultura e con la religione, ma non sono la stessa cosa; fortunatamente, le istituzioni sono molto meno difficili da modificare, attraverso scelte collettive consapevoli.
Fino ad oggi l’Italia è stata classificata fra le democrazie non decidenti. Una democrazia che non decide non scioglie i nodi, ossia non fissa delle regole che siano al tempo stesso uguali per tutti e capaci di adattarsi tempestivamente alle esigenze mutevoli della società.
E quando questo succede, le persone e le imprese trovano il modo di sciogliere i nodi da sé, arrangiandosi, servendosi dei propri sistemi di relazioni o favori.
Questo costituisce il tema centrale, dal punto di vista della crescita.
Se le istituzioni non decidono, il privato si arrangia e il mercato non funziona.
Questo è il terreno di coltura di favoritismi, capitalismo di relazione, lobbismo deteriore, corruzione. Da qui la svalutazione del merito, il proliferare di piccole e grandi autocrazie locali, nella burocrazia e nella politica, nell’intreccio fra queste e l’imprenditoria.
Tutto questo è il contrario di quei quattro concetti che sono al centro di qualunque analisi del buon funzionamento dei sistemi economici nonché dei Trattati dell’Unione Europea: diritti di proprietà, per definizione uguali per tutti, livellamento del campo di gioco, concorrenza e merito.
Un esempio che tutti conoscono. Dai noi spesso le amministrazioni non riescono a fare una seria pianificazione del territorio e a far funzionare un’organizzazione per il tempestivo rilascio delle autorizzazioni e per i controlli che sia coerente con quella pianificazione. Il risultato è che le persone si arrangiano con piccoli favori, con piccola e grande corruzione.
Gli italiani non sono intrinsecamente più corrotti di altri popoli. Hanno un’amministrazione che funziona peggio che altrove. E funziona peggio perché le istituzioni politiche sembrano fatte apposta per non decidere.
Abbiamo una legge elettorale che obbliga a fare coalizioni, spesso complesse e litigiose. I governi hanno orizzonti temporali brevissimi. In queste condizioni, manca un centro di responsabilità, qualcuno cui l’opinione pubblica possa attribuire meriti e colpe su un orizzonte temporale che non sia quello della settimana o del mese. Con gli orizzonti brevi e la litigiosità della nostra politica non si riuscirebbe ad amministrare neanche un condominio.
Certo, sappiamo tutti che ci sono paesi, come la Germania, in cui le cose funzionano anche con leggi elettorali che sono sostanzialmente proporzionali. In Germania c’è grande stabilità – basti pensare che dal 1949 a oggi vi sono stati solo otto cancellieri, meno dei Presidenti degli Stati Uniti – e si fanno coalizioni che non litigano. Ma con tutta evidenza le cose non vanno così da noi. Quindi dobbiamo porvi rimedio ricorrendo a un’accorta ingegneria istituzionale.
Una seconda evidente causa di inefficienza è il bicameralismo perfetto. Il problema non è tanto il tempo necessario per approvare una legge, ma soprattutto le molte coalizioni di blocco che si possono formare in ogni commissione e in aula durante l’esame dei provvedimenti, coalizioni che sono spesso diverse fra Camera e Senato. Qualcosa di simile accade anche al Congresso americano, come testimoniano, ad esempio, il blocco della riforma sanitaria di Clinton o lo shutdown degli uffici federali nell’autunno 2013. Anche lì dunque a volte le cose sono molto complesse, ma la differenza è che lì il Presidente trae legittimazione dal voto popolare e non dallo stesso Parlamento. E’ dunque evidente che il bicameralismo perfetto, nell’ambito di un sistema parlamentare puro, è un fattore di inefficienza e scoraggia l’assunzione di decisioni.
Un ragionamento analogo si applica al tema della riforma del Titolo V. Anche in questo caso il problema è che dobbiamo ristabilire dei precisi centri di responsabilità. Altrimenti il privato è costretto ad arrangiarsi nelle pieghe della confusione fra livelli di governo.
Una rapida approvazione del pacchetto di riforme istituzionali è dunque essenziale per sostenere l’economia.
Lo è nel lungo periodo. Ma lo è anche nell’immediato, perché i mercati scontano ad oggi gli effetti delle riforme sulla crescita futura e sulla sostenibilità del debito. Le riforme ci aiutano dunque a immunizzarci dai formidabili rischi macroeconomici che girano per il mondo e che sembrano nuovamente generare reazioni di paura se non di vero e proprio panico nei mercati: dall’Ucraina, alla minaccia del terrorismo, al tapering della Fed, al conflitto fra i paesi del nord e la Grecia. Guardate i bollettini delle banche d’investimento internazionali: seguono con estrema attenzione a quello che noi stiamo facendo in materia di riforme istituzionali.
Tutti noi chiediamo all’Europa di fare di più per la crescita, tramite politiche monetarie e di bilancio espansive, e di farlo rapidamente. Lo chiediamo con grande forza nella convinzione che altrimenti è a rischio l’Euro e l’intero progetto europeo.
Condivido queste richieste e queste preoccupazioni. Ma aggiungo che ciò che possiamo fare noi nelle prossime settimane, approvando le riforme della Costituzione e della legge elettorale, non è meno importante per la crescita di ciò che possono fare Juncker e Draghi in Europa.
Testo estratto dall’intervento di Giampaolo Galli all’assemblea del gruppo PD alla Camera – 7 gennaio 2015
“Il paradosso dello sciopero contro le riforme” intervista di Ernesto Auci a Giampaolo Galli su FIRSTonline – 11/12/2014
“Il paradosso di chi sciopera contro la legge di stabilità e il Jobs Act, e in definitiva contro le riforme del governo Renzi, è quello di provocare un’austerità più feroce dell’attuale invocando l’uscita dall’euro o la ristrutturazione del debito pubblico” – No al catastrofismo di Grillo e della Lega. Leggi tutto ““Il paradosso dello sciopero contro le riforme” intervista di Ernesto Auci a Giampaolo Galli su FIRSTonline – 11/12/2014″
“I tagli di tasse ci sono, come era stato annunciato”- Giampaolo Galli su Il Sole 24 Ore 19/11/2014
Secondo alcuni il governo non starebbe facendo quanto aveva promesso in materia di riduzione delle tasse e della spesa pubblica. La tesi appare abbastanza singolare dato il cospicuo ammontare delle quattro misure principali che sono state attuate: la conferma del bonus Irpef da 80 euro, l’eliminazione dell’Irap lavoro sui contratti a tempo indeterminato, la decontribuzione triennale per i neoassunti e il nuovo regime agevolato per i contribuenti minimi. E’ però vero che la lettura dei documenti di bilancio è sempre complessa e, quest’anno, presenta alcune ambiguità che è utile chiarire.
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