La crescita non la si fa con il deficit: gli argomenti e il modello

A proposito di  un articolo uscito qualche tempo fa su FIRSTonline  vari lettori (un po’ increduli) mi hanno chiesto su che basi avessi fatto l’affermazione che la crescita non la si fa con il deficit e come avessi fatto le simulazioni riportate nel pezzo.

Per chiarire la faccenda riporto qui sotto l’articolo di cui si discute. E per chi vuole approfondire ulteriormente – e si diverte con l’aritmetica –  ecco i fogli Excel che ho usato per le simulazioni.

Clicca qui per il modello in excel.

Nota ai fogli Excel: nel foglio “1. Il modello” c’è il modello usato per le simulazioni; nei successivi due fogli ci sono i risultati numerici (“2. I risultati”) e il grafico (“3. Il Grafico”), rispettivamente.
È possibile  cambiare i parametri e le variabili scritti in rosso; i numeri scritti in nero  sono una conseguenza delle ipotesi, ossia sono endogeni. Nei successivi tre fogli si rifà l’esercizio, tenendo conto di import e export e cambiando alcune ipotesi.

Correzioni e commenti critici sono benvenuti. 

Ed ecco l’articolo:

La crescita economica non si fa con il deficit – FIRSTonline, 20 marzo 2016

Politiche keynesiane di sostegno della domanda aggregata hanno senso a livello europeo, ma assai meno in un paese come l’Italia che ha un elevato debito pubblico. I mercati non ce le lascerebbero fare e non avrebbero tutti torti perché, a prescindere dalla credibilità di chi governa, le politiche keynesiane hanno dei limiti ben noti. Tali limiti sussistono a prescindere dalle critiche “esterne” che si possono fare al modello keynesiano, nel senso che emergono proprio utilizzando le ipotesi del modello keynesiano, a cominciare da quella che il Pil è determinato dalla domanda aggregata in condizioni di sottoutilizzo generalizzato delle risorse. In sintesi: 1) con il deficit non si fa crescita economica e 2) un aumento del deficit non può generare un aumento del Pil tale da ridurre il rapporto debito/pil se non nel breve periodo; alla lunga il debito lo si riduce solo con appropriati avanzi primari.
Nella fig. 1 viene simulato un aumento “permanente” della spesa pubblica a partire da uno stato di sottooccupazione stabile in cui i livelli iniziali del debito e del pil sono posti uguali a 100. Inizialmente le tasse sono tali da mantenere in pareggio il bilancio. Nel periodo t=3, dopo anni di stagnazione, prevalgono gli economisti keynesiani e la spesa pubblica viene aumentata, diciamo, del 10% del Pil. Per effetto di un moltiplicatore che si assume generoso, il Pil nei primi due anni aumenta quasi del 20%. Nel terzo anno dopo lo shock, il Pil scende un po’ per via dell’effetto ritardato dell’aumento delle tasse che esso stesso ha generato e poi si stabilizza su un livello più elevato che nello scenario base, ma non cresce più. Il debito/Pil invece cresce senza limiti perché l’aumento delle entrate non può essere tale da sopravanzare la maggiore spesa (e se lo fosse il Pil tornerebbe al punto di partenza).

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Contratti derivati stipulati del Ministero dell’economia e delle finanze, dichiarazione di voto, 19 luglio 2017

Seguito della discussione delle mozioni in materia di trasparenza dei contratti derivati stipulati dal Ministero dell’economia e delle finanze.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Giampaolo Galli. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO GALLI. Grazie Presidente. Nella mozione a prima firma Marchi chiediamo al Governo di fare maggiore trasparenza nell’utilizzo degli strumenti derivati, diciamo però che nel confronto internazionale l’Italia è già oggi a livelli elevati di trasparenza. Abbiamo già adottato i migliori standard per la pubblicità dei dati. Non accettiamo, quindi, di autorappresentarci come il Paese dell’opacità e dei misteri, non è così.

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Brexit: una proposta delle imprese inglesi che dovrebbe interessare l’Italia. – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 13 luglio 2017

Sono passati già più di 100 giorni dall’attivazione dell’Articolo 50 dei Trattati che ha fatto scattare il periodo transitorio di due anni prima dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, cioè Brexit. Entro il 29 marzo del 2019 vi dovrebbe dunque essere un accordo completo con l’Unione europea.

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Intervento in Aula nella discussione generale sul decreto sulle banche venete, 10 luglio 2017

Presidente, Colleghi,

l’intervento che ci accingiamo ad approvare è un intervento necessario. Non salviamo i banchieri, ma salviamo le famiglie e le imprese che hanno rapporti con le due banche, i lavoratori, il territorio.

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