Con l’euro, inflazione mai così bassa. L’Ue tutela i nostri redditi e i nostri risparmi, Europea, 20 febbario 2018-

Mia intervista a su conti pubblici, rating e prossime scadenze, Formiche,19/02/2019,

Per i nostalgici dello spread a 300 nei primi mesi di governo gialloverde potrebbe essere una sorta di revival. I conti italiani, appurata la recessione (tecnica e non ancora strutturale certo, ma pur sempre recessione) potrebbero presto tornare sotto pressione.

Nelle prossime settimane infatti l’Italia si ritroverà a fare i conti con una raffica di giudizi da parte delle principali agenzie di rating. Un uno-due-tre in questa sequenza: Fitch (22 febbraio e che ci ha appena tagliato il Pil), Moody’s (15 marzo) e infine Standard&Poor’s il 26 aprile. Nel mezzo, il rischio concreto che, stante l’andamento dell’economia e delle principali variabili di finanza pubblica, la Commissione europea tra giugno e luglio torni alla carica chiedendo una manovra correttiva. Pagelle che andranno inevitabilmente a impattare direttamente sull’affidabilità e sostenibilità di medio periodo del debito sovrano, e dunque sul comportamento dei mercati e quindi sull’andamento dello spread, che attualmente si aggira attorno ai 260 punti base (150 punti base in più rispetto a un anno fa). Ce ne è abbastanza per chiedersi se dopo le settimane burrascose della manovra e della ricerca dell’accordo sul deficit, si tornerà a ballare. Formiche.net lo ha chiesto all’economista dal passato confindustriale ed ex deputato dem, Giampaolo Galli.

Galli, dobbiamo aspettarci brutti voti da parte delle agenzie di rating?

Le agenzie di rating non potranno che prendere atto del deterioramento del quadro macroeconomico e delle sue conseguenze sulla finanza pubblica. Negli ultimi mesi le previsioni sul 2019 sono enormemente peggiorate. Ancora ad ottobre sembrava possibile una crescita 2019 del 1%. Oggi sembra più ragionevole una crescita zero o addirittura negativa. In questo quadro, il deficit 2019 è destinato a salire almeno al 2,5%. Per il 2020 è invece probabile che si vada oltre il 3%, perché non si vede come il governo possa coprire la disattivazione delle clausole di salvaguardia Iva per oltre 23 miliardi.

Una lista piuttosto lunga…

Se poi si tiene conto che il governo non manterrà fede all’impegno di fare privatizzazioni per 18 miliardi di euro, è pressoché certo che il debito aumenterà in rapporto al Pil. Inoltre agli investitori e alle agenzie non sono passate inosservate le frasi quantomeno inopportune del premier Conte a Davos: per mettere al centro la parola “popolo” occorre abbandonare la “fiscal frugality” che ci ha obbligati a fare “a continuous belt-tightening”, per tenere la spese primarie al di sotto del gettito fiscale, il che ha frenato la crescita.

Conclusione?

Tutti hanno capito che non sarà questo il governo che sistemerà i conti pubblici dell’Italia e, dato che il tempo stringe, molti si chiedono se una ristrutturazione del debito italiano non sia ormai inevitabile.

Tutto questo era prevedibile al momento della diffusione del contratto di governo?

Certamente. Sui due problemi chiave dell’Italia – bassa crescita e alto debito pubblico – il contratto dice molto poco e quel poco è molto problematico.

Si spieghi…

In 57 pagine, non c’è un paragrafo su crescita-produttività. Alla parola “impresa” è quasi sempre anteposto l’aggettivo “piccola”; quindi il nanismo delle imprese e la mancanza di grandi imprese non sono un problema e si torna al ’piccolo è bello’. Non ci sono le parole industria, manifattura, manifatturiero, competitività, produttività. Non c’è nulla su liberalizzazioni e politica della concorrenza. Sulle infrastrutture il focus è sull’ambiente, non sulla competitività: mobilità sostenibile, auto elettrica, ferro al posto della gomma, piste ciclabili…Non c’è un paragrafo dedicato alla Pa, uno dei problemi centrali per le imprese, oltre che per i cittadini.

Qualcosa di buono ci sara, o no?

Sì, c’è un capitolo ampio sulla giustizia e qualcosa c’è sull’esigenza di sveltire i processi (che per le imprese è cruciale), ma l’enfasi è su questioni diverse (la difesa sempre legittima, la certezza della pena, il ripristino dei piccoli tribunali, la riforma della prescrizione ecc.).

Galli si parla sempre di investimenti quale volano della crescita. Ma se nemmeno si riesce a trovare un accordo politico sulla Torino-Lione, con che coraggio ne parliamo?

Le opere che erano già iniziate, in particolare quelle che comportano accordi internazionali e finanziamenti europei, non avrebbero mai dovuto essere rimesse in discussione. Quale che sia il giudizio sull’analisi costi- benefici fatta sulla Torino- Lione, un eventuale stop all’opera sarebbe un colpo durissimo per la credibilità internazionale dell’Italia nonché per la possibilità di attingere in futuro a fondi comunitari per gli investimenti.

Torniamo ai nostri conti. L’altro giorno Confindustria ha sollevato il problema delle clausole di salvaguardia, che schiaccia il bilancio pubblico con aumenti meccanici sempre in agguato. Ne possiamo in qualche modo fare a meno?

Il problema è che la legge di Bilancio 2019 aumenta la spesa corrente, attraverso le due misure chiave del reddito di cittadinanza e di quota 100, ma prevede coperture molto fragili per il 2019 – rinvii di spese e anticipi di imposte – e inesistenti per gli anni successivi. E non vi è alcun serio tentativo di aggredire gli sprechi della Pubblica amministrazione.

Dunque?

In questa situazione, le clausole di salvaguardia per ora sono foglie di fico per evitare di mostrare la verità dei conti e cioè che, quand’anche si avverassero le previsioni di crescita del governo, il deficit arriverebbe al 3% già nel 2020.

Le cupidigie dei politici sulle riserve auree, InPiù, 12 febbraio 2019

L’oro della Banca d’Italia fa gola a chi pensa solo alle prossime elezioni e non sa come far quadrare il bilancio dello Stato. Si tratta di 2.452 tonnellate che, valutate al prezzo del 31/12/2017, valgono 85,3 miliardi di euro. Sembrano tanti soldi, ma sono meno del 5% del nostro debito pubblico. Se dunque venisse venduto tutto l’oro e la vendita non avesse alcun effetto sul prezzo, il debito pubblico scenderebbe al 126%. Si tratterebbe di una riduzione molto modesta, che non farebbe alcuna differenza ai fini dello spread. Questo infatti diminuirebbe se il rapporto debito/Pil venisse collocato su una solida traiettoria discendente e non certo se venisse ridotto per effetto di un’operazione straordinaria e non ripetibile. In realtà, la vendita di un quantitativo tanto massiccio di oro ne farebbe crollare il valore. Salvatore Rossi, nel suo libro “Oro“, ci ricorda che l’offerta globale di oro nel 2016 è stata di 4.600 tonnellate, cui si sono aggiunte 1.300 tonnellate di oro“riciclato”, ossia non estratto. Se a questi ordini di grandezza si aggiungesse l’oro della Banca d’Italia, il prezzo crollerebbe, cosa che peraltro è già successa in passato quando qualche Banca Centrale ha cercato di smobilizzare il suo oro.

Leggi tutto “Le cupidigie dei politici sulle riserve auree, InPiù, 12 febbraio 2019”

La fuga dei capitali dall’Italia, di Giampaolo Galli, Il Foglio, 2 febbraio 2019.

La caduta del Pil era stata ampiamente preannunciata dai tanti segnali di sfiducia che si sono accumulati nei mesi scorsi sull’economia italiana. L’aumento dello spread dal maggio scorso e la caduta degli indici di fiducia delle imprese ne sono la manifestazione più evidente.  Ma un indicatore non meno importante è quello della Banca d’Italia sui movimenti di capitali. Da questi dati si ricava che dal maggio scorso c’è stata una consistente fuoriuscita di capitali, italiani ed esteri, dall’Italia. Non una fuga precipitosa, anche se in qualche momento abbiamo rischiato grosso, ma una fuoriuscita continua, pesante e diffusa a tutti i comparti, a fronte della quale non stupisce che in Italia aumenti lo spread, la borsa cada più che altrove e gli investimenti produttivi si siano quasi fermati.

Leggi tutto “La fuga dei capitali dall’Italia, di Giampaolo Galli, Il Foglio, 2 febbraio 2019.”

Spread sotto 250, ma non è scampato pericolo, di Giampaolo Galli, Inpiù, 28 gennaio 2019.

Le parole di Conte a Davos hanno allarmato i mercati

Da quando si è trovato l’accordo fra il governo e la Commissione Europea sulla manovra, lo spread con la Germania ha continuato a scendere e negli ultimi giorni si è collocato sotto 250. Scampato pericolo dunque? La risposta è no: il difficile deve ancora venire.

Leggi tutto “Spread sotto 250, ma non è scampato pericolo, di Giampaolo Galli, Inpiù, 28 gennaio 2019.”
Annuncio