A volte è vero che non ci sono alternative: il 4 agosto 2011 le parti sociali scrissero un documento molto simile alla lettera che giunse il giorno dopo dalla BCE.

Il 4 agosto 2011, dunque il giorno prima della lettera della BCE, sindacati e Confindustria convocarono (letteralmente) il governo sulla base di un breve documento comune che metteva al centro l’urgenza di risanare i conti pubblici.

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Il Pil è fermo, ma l’occupazione aumenta: è una conseguenza della legge Fornero, di Giampaolo Galli, Inpiù, 2 agosto 2019.

Mentre il Pil è a crescita zero in termini sia congiunturale sia tendenziali, l’occupazione è aumentata a giugno di ben 115 mila unità (+0,5%) rispetto al giugno del 2018. Anche su base trimestrale l’occupazione ha messo a segno un dato positivo; nel secondo trimestre 2019 si sono registrati 124 mila occupati in più (anche qui, +0,5%) rispetto nel primo trimestre. Alcuni hanno messo in dubbio la validità dei dati Istat, ma forse non ce n’è bisogno. L’aumento dell’occupazione è spiegabile ancora con l’”effetto Fornero”, ossia il fatto che continua ad aumentare l’età effettiva di pensionamento; effetto che per ora è stato solo scalfito dalla controriforma di Quota 100. Infatti, gli occupati sopra i 50 anni di età sono aumentati di ben 292 mila unità (+3,5%) rispetto al giugno 2018, il che significa che gli occupati di tutte le altre classi di età sono diminuiti di 177 mila. Ha fatto un certo scalpore che siano aumentati gli occupati nella classe 15-24 anni, ma il loro aumento tendenziale (+46 mila) è più che compensato dalla riduzione degli occupati nella classe 25-34 (-51 mila) e soprattutto nella classe 35-49 (-172mila). A questi dati bisogna aggiungere l’aumento di ben il 42,6% della cassa integrazione fra giugno 2018 e giugno 2019, che corrisponde a circa 50mila occupati in meno; l’aumento è dovuto alle molte aree di crisi e al fatto che questo governo ha riattivato sia la cassa in deroga (aumentata in un anno del 462%) sia l’ossimoro della Cassa integrazione per cessazione di attività. In teoria i dati Istat delle forze di lavoro tengono conto della Cassa Integrazione, nonché della sua articolazione fra diversi regimi di orario, ma in realtà è possibile che un dipendente in CIG risponda all’intervistatore Istat che è comunque occupato -il che è giuridicamente e sostanzialmente corretto-, anche se magari non ha lavorato neanche un’ora nella settimana di riferimento.  Si può obiettare che, anche tenendo conto del fattore Cassa Integrazione, nel complesso gli occupati sono aumentati, il che non sembra coerente con la crescita zero del Pil. Qui occorre tenere conto del fatto che i dati Istat sulle forze di lavoro non disaggregano fra settore pubblico e settore privato; quindi è possibile che l’aumento sia concentrato nel settore pubblico. Questo è molto probabile alla luce del fatto che per ora Quota 100 ha consentito solo l’uscita, a partire dalla finestra di aprile, di lavoratori nel comparto privato. La prima finestra per i dipendenti pubblici è infatti ad agosto (a settembre per i dipendenti della scuola). Inoltre, le imprese sanno che nei prossimi mesi perderanno altri dipendenti che matureranno Quota 100: quindi non hanno fretta di mettere fuori altri lavoratori per riequilibrare, se già non lo hanno fatto, il rapporto fra livello di attività stazionario e occupazione (degli anziani) in crescita. Il riequilibrio verso un livello di occupazione più basso verrà da sé, quale gradito regalo del governo come stiamo verificando in questi giorni nel caso delle banche.

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Le privatizzazioni immaginarie, di Giampaolo Galli, Inpiù, 29 luglio 2019.

“Non sappiamo se raggiungiamo la quota dei 18 miliardi prevista come target 2019 per le dismissioni”. Finalmente, il ministro Tria ha battuto un colpo sul tema delle privatizzazioni, aggiungendo però che “non possono esserci indiscrezioni perché coinvolgono anche aziende quotate sul mercato”. Quindi non si sa nulla delle intenzioni del governo, il che induce a pensare che non ci sia nulla di importante in cantiere altrimenti qualcosa sarebbe trapelato. Peraltro nessuno aveva mai preso molto sul serio l’impegno del governo. Esso fece capolino nella lettera di Tria alla Commissione del 13 novembre scorso e fu ribadito nel Def del maggio scorso. Ma il vice premier Di Maio precisò subito che “non ci saranno dismissioni di gioielli di famiglia. Noi abbiamo previsto immobili, beni di secondaria importanza, ma se mi parlate di Eni, Enav, tutti questi soggetti devono restare saldamente nelle mani dello Stato”.

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Flat tax e spese fiscali: un bilanciamento difficile, di Alessandro Banfi, Giampaolo Galli e Carlo Valdes, 27 luglio 2019, Osservatorio CPI

Le cosiddette fiscal expenditures relative all’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) ammontano complessivamente a 133 miliardi. Le motivazioni sono varie: l’esigenza di evitare doppia tassazione, sentenze della Corte Costituzionale, trattati internazionali, sostegno alle fasce più deboli della popolazione. La maggior parte di esse si concentra sui redditi bassi e medio-bassi e contribuisce in misura determinante a rendere fortemente progressivo il nostro sistema fiscale: basti considerare che l’aliquota media effettiva sui redditi fino a 15mila euro è del 5,2 per cento e sale al 14,4 per cento (quindi ancora inferiore all’aliquota del 15 per cento propugnata dai teorici della flat tax) sui redditi fra 15 e 28mila euro. Se le spese fiscali fossero tout court abolite, queste due aliquote salirebbero al 22,2 e al 24,2 per cento rispettivamente. Questo implica che ci siano molti contribuenti con reddito medio o medio-basso che non pagano quasi nulla perché hanno situazioni particolari come numerosi figli piccoli o disabili a carico. L’unico modo per introdurre l’aliquota al 15 per cento senza danneggiare milioni di contribuenti meritevoli di attenzione da parte del legislatore è quello di introdurre una clausola di salvaguardia in base alla quale il contribuente sceglie il regime che gli conviene. Questo però complicherebbe l’attività di controllo, soprattutto se diventasse un esempio per future riforme perché moltiplicherebbe i regimi di tassazione in essere. Questo è in contrasto con uno degli obiettivi dichiarati della flat tax, quello di semplificare il sistema tributario. Data la loro attuale configurazione, operazioni di riduzione delle spese fiscali possono certamente essere fatte, ma diventa molto difficile conciliare l’esigenza di semplificazione con quella di evitare perdite per fasce anche ampie dei contribuenti. Leggi tutto “Flat tax e spese fiscali: un bilanciamento difficile, di Alessandro Banfi, Giampaolo Galli e Carlo Valdes, 27 luglio 2019, Osservatorio CPI”

Tutti i rischi dei tagli alle spese fiscali, di Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli, Il Sole 24Ore, 27 luglio 2019

Una delle varie proposte di riforma del sistema fiscale avanzate dai partiti di governo prevede l’introduzione di un’aliquota al 15% per i redditi familiari fino a 55.000 euro (la cosiddetta Flat tax), finanziata almeno in parte con tagli delle spese fiscali. Ci siamo concentrati su questo secondo aspetto in una nota che sarà pubblicata oggi sul sito web dell’Osservatorio CPI. Su quali spese fiscali si può davvero intervenire? E quali sarebbero le conseguenze redistributive?

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