di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli, Il Sole24Ore, 8 dicembre 2020
Oltre due anni fa su queste colonne avevamo espresso qualche timore sui lavori preparatori della riforma del MES e in particolare sulla dichiarazione franco-tedesca di Meseberg che fornì il quadro di riferimento per la riforma che fu poi sottoposta al Eurosummit del 28 giugno 2018. Le nostre perplessità erano soltanto marginalmente motivate dagli emendamenti testuali che si prospettavano.
Nella riunione dell’Eurogruppo di ieri, 30 novembre, i ministri delle Finanze dei paesi membri dell’eurozona si sono espressi sulla tanto attesa riforma del trattato Mes, il fondo cosiddetto “Salva Stati”. La riforma sarà discussa poi dai capi di Stato e di Governo nel prossimo Consiglio europeo del 10-11 dicembre, e il nuovo trattato sarà eventualmente firmato dai governi a gennaio 2021. Per completare il processo di riforma occorrerà attendere le ratifiche nazionali, che dovrebbero concludersi entro la fine del 2021.“La riforma – spiega al Riformista Giampaolo Galli, economista dell’Osservatorio Conti pubblici dell’Università Cattolica – non prevede la ristrutturazione automatica del debito, ma che i prestiti del Mes vadano agli Stati con debiti sostenibili, ossia in grado di restituire i prestiti. Altrimenti si tratterebbe di finanziamenti a fondo perduto. Questi ultimi sono previsti dal Next Generation EU, ma sono stati concepiti come strumento una tantum per fronteggiare l’emergenza pandemica”. In passato in molti – ambienti istituzionali tedeschi e francesi, perfino un premio nobel come Joseph Stiglitz e lo stesso Beppe Grillo hanno pensato che per le situazioni più gravi la soluzione fosse il default a freddo. “Ma la ristrutturazione del debito a freddo è una pistola puntata contro i risparmiatori”, avvisa Galli. “La cancellazione del debito non può essere una soluzione. Spesso viene confusa con la debt relief che il Fondo monetario internazionale propone nei confronti dei paesi poveri. Ma quelli sono debiti di paesi verso altri paesi o verso le banche di altri paesi. Qui la cancellazione del debito si farebbe a spese dei nostri stessi risparmiatori. Per questo è improponibile”.
La nomina di Janet Yellen a segretario al Tesoro dell’amministrazione Biden è stata accolta molto positivamente, quasi con entusiasmo, da Wall Street. Questo dimostra che gli investitori hanno buon senso e che non c’è bisogno di “voodoo economics” per sostenere i valori azionari. Yellen ha definito se stessa un’economista mainstream, ossia sostanzialmente ortodossa, con un twist politico di orientamento liberal. Essere mainstream, nelle condizioni odierne, significa non credere a nessuna delle frottole raccontate da Trump in questi anni e mai contraddette dal suo Ministro dell’Economia, Steve Mnuchin, che pure, da ex-banchiere di Goldman Sachs, non poteva credere a nessuna di esse. In sostanza, al Tesoro americano tornerà la fiducia nella scienza economica e nella scienza in generale.
L’economia in Quark – Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Alessandro De Nicola discutono i recenti sviluppi in sede europea attorno alla vicenda del Recovery Fund e commentano l’operato del Governo italiano in relazione al Disegno di Legge di Bilancio e ai progetti del Next Generation EU.
di Giampaolo Galli, Il Riformista, 24 novembre 2020
Il piano NextGenerationEu (NGEU), di cui il Recovery Fund rappresenta oltre il 90%, è una doppia scommessa da parte delle due nazioni leader dell’Unione, la Germania e la Francia. E’ una scommessa sull’Europa e la sua capacità di rimanere coesa di fronte a quell’innovazione straordinaria che è l’introduzione di un debito comune, malgrado la riluttanza di sempre dei nordici e, più di recente e per ragioni diverse, i veti di Polonia, Ungheria e Slovenia. Ed è una scommessa sull’Italia che con questi fondi viene aiutata a rimarginare le ferite della pandemia facendo le riforme, in particolare della pubblica amministrazione e delle giustizia, che sono ritenute necessarie per farla uscire dalla condizione di stagnazione economica e alto debito in cui versa da un quarto di secolo. La scommessa sull’Europa consiste nel fatto che si consente all’Unione di avere un proprio debito sovrano, per un ammontare di 750 miliardi che rappresentano il 5 per cento del Pil dell’Unione Europea. Si tratta di una cifra piccola se confrontata con il debito di qualunque stato sovrano unitario, ma che non ha precedenti nella storia dell’UE. Nei patti, questo debito ha carattere eccezionale e dovrà essere interamente ripagato entro il 2058. Ma è lecito intravedere in questa iniziativa un primo passo verso un vero bilancio federale dell’Unione. Questi 750 miliardi sono i veri e propri “eurobonds” prefigurati tanti anni fa da Romano Prodi. Ma questo termine ancora oggi è un tabù per paesi del Nord ed è bandito dal lessico della diplomazia comunitaria. Si può forse dire che le parole rimangono tabù, ma i fatti precedono le parole. Il NGEU rappresenta poi una grande scommessa sull’Italia. Lo è innanzitutto sotto il profilo quantitativo: sul totale di 750 miliardi all’Italia andrebbero 208 miliardi, ossia il 28 per cento, mentre il Pil dell’Italia è il 13 per cento del Pil dell’Unione. Anche sulla sola componente dei grants del Recovery Fund (313 miliardi) l’Italia pesa per il 20 per cento, ossia oltre 64 miliardi. E’ stato detto che alla fine dei conti saranno pur sempre i cittadini europei, e pro quota, quelli italiani a pagare il conto dei grants; chi ragiona in questo modo, conclude che il beneficio netto è solo il 7 per cento (20-13) del totale dei grants. Questo modo di ragionare non tiene conto del fatto che l’UE è impegnata a trovare fonti proprie di finanziamento che dovrebbero pesare poco sui cittadini, come una carbon border tax o una web tax. Né tiene conto del fatto, di gran lunga il più importante, che i grants non appesantiscono i bilanci nazionali; il debito è solo dell’Unione e non degli Stati Membri. Questo fa una notevole differenza per i mercati e le agenzie di rating.